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Cingolani aveva ventilato un incremento dei fondi. E aperto la strada a maggiori estrazioni (senza trivelle)

By Claudio Paudice

L’incremento delle risorse ventilato poche ore prima in audizione dal ministro Cingolani alla fine non ci sarà, con buona pace delle richieste avanzate da giorni dalle associazioni dei consumatori. Al termine del Consiglio dei ministri il titolare dell’Economia Daniele Franco ha confermato lo stanziamento di 3,8 miliardi per far fronte agli aumenti di luce e gas nel primo trimestre 2022. Chi si aspettava uno sforzo ulteriore per mitigare l’impatto dei rincari, a partire dal titolare del Mite Roberto Cingolani, è rimasto perciò deluso. Proprio Cingolani poche ore prima aveva lasciato intendere che il Governo guidato da Mario Draghi avrebbe fatto uno sforzo ulteriore, dopo i cinque miliardi già messi nelle scorse settimane: “In Consiglio dei ministri porteremo un aumento dello stanziamento per il caro energia. Cerchiamo di fare un’ulteriore facilitazione per i clienti vulnerabili, che sarà nel pacchetto in arrivo”, ha detto nel pomeriggio di fronte alle Commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato. Nulla da fare: l’unica ipotesi, ancora allo studio, è quella di dare la possibilità, in particolare alle imprese, di rateizzare le bollette. La rateizzazione consentirebbe, spiegano fonti di settore, di dare sostegno alle aziende in difficoltà con i rialzi dei prezzi senza configurare aiuti di Stato.

Di questi 3,8 miliardi, 1,8 miliardi andranno ad annullare gli oneri generali di sistema per le utenze fino a 16kwh, 600 milioni ad abbassare l’aliquota Iva per il gas al 5%, inoltre per il gas gli oneri di sistema sono azzerati per tutti, mentre per le famiglie svantaggiate gli aumenti sono annullati con 900 milioni. Secca la reazione dei consumatori, come detto: “Ci sentiamo presi in giro. Ci avevano illuso che ci sarebbe stato uno stanziamento maggiore e invece, a quanto pare, siano ancora fermi a 3,8 miliardi. Ne servono molti di più. Solo oggi il Pun ha toccato un nuovo primato di quasi 350 euro a MWh e il gas è salito del 4% sui mercati europei”, dicono dall’Unione Nazionale Consumatori.

Non è il primo intervento del Governo sulle bollette ma è ancora una volta insufficiente a sterilizzare gli aumenti. Col decreto taglia-bollette di fine settembre l’esecutivo aveva stanziato poco più di tre miliardi a fronte di un aumento di nove miliardi. Aveva adottato un provvedimento simile già a luglio per evitare che a metà anno i conti per le famiglie salissero di oltre il 20%: un miliardo di euro e un rincaro sceso al 10% per l’elettricità e al 15,3% per il gas che si è tradotto, secondo le stime Arera, in un aumento per famiglia tipo di 62 euro per la prima e 13 euro per il secondo.

“Sono stati stanziati complessivamente 5 miliardi utilizzando sia le risorse di bilancio sia i componenti provenienti da aste di emissione CO2 nel trimestre 20-22”, ha detto Cingolani in audizione, aggiungendo che sono “previsti ulteriori due miliardi per ridurre le aliquote relative agli oneri generali di sistema nel settore elettrico e del gas nel primo trimestre 20-22″.

Il gas continuerà perciò a costare caro per famiglie e imprese nei primi tre mesi del prossimo anno ma – buona notizia – quantomeno non dovrebbe scarseggiare: rispetto agli altri paesi Ue, l’Italia, in questo momento, ha una situazione degli stock di gas che è tra l′85 e il 90% ed è di gran lunga quella messa meglio in Europa: “Non dovremmo incorrere nel rischio di tensioni”, ha assicurato il ministro. Basti pensare che al 4 dicembre il 23,4% del gas iniettato nell’attuale stagione termica negli impianti di stoccaggio sotterranei (Ugs) europei era già stato prelevato. Gli impianti Ugs in Europa risultavano già a inizio mese pieni al 66,78 per cento, con volumi di gas pari a poco più di 72 miliardi di metri cubici, circa 17 miliardi di metri cubici in meno rispetto alla media degli ultimi cinque anni. L’Italia ha una capacità di stoccaggio di 18 miliardi di metri cubi, sufficiente per garantire la sicurezza energetica in inverno.

Tuttavia, come ha spiegato Cingolani, nonostante non ne soffra tanto la carenza a causa del suo mix energetico l’Italia pagherà di più di altri Paesi la materia prima. Perché importando il 93% del gas e il 10% dell’elettricità il sistema non è in grado di adattarsi allo sbalzo dei prezzi. In Italia l’elettricità costa fino a 270 euro al megawattora. Altrove in Europa la pagano 130 euro, a causa di un mix energetico diverso. La struttura energetica italiana produce ripercussioni anche sui costi di approvvigionamento da altre tipoligie di fonti, incluse le rinnovabili, perché il prezzo dell’elettrici prodotte da queste ultime viene stabilito su quello del gas del giorno prima. Ed è per questo motivo che l’Italia, insieme a Spagna, Romania e Grecia ha avanzato la proposta di regolare i prezzi dell’enegia, contratti di acquisto comuni e a lungo termine (come chiede la Russia, ad esempio) e stoccaggi strategici congiunti. Ma l’idea avanzata dal Sud si è scontrata con il muro alzato in Europa da Germania, Austria, Danimarca e Paesi Bassi.

Mentre si studiano altre vie, anche con accordi congiunti per gruppi di Paesi, il governo sta perciò valutando altri interventi per cercare di mitigare l’impatto del prezzo del gas sulle bollette energetiche, oggi considerato una vera minaccia alla ripresa tanto da mettere a rischio anche la buona riuscita dei progetti finanziati dal Recovery. E uno di questi interventi potrebbe essere quello di incrementare la produzione interna: “L’idea è di aumentare la produzione nazionale a spese dell’importazione a parità di totale consumo del gas, massimizzando ciò che noi abbiamo già la possibilità di estrarre”, ha detto Cingolani. “L’opzione non è trivellare di più, ma almeno cominciare a utilizzare al massimo i giacimenti che già ci sono e sono stati chiusi e che in tempi relativamente brevi, nell’ordine di un anno o qualcosa in più, possono essere rimessi in funzione”.

Nel 2019 il tasso di dipendenza energetica dalle forniture estere, dati Eurostat, era pari al 61%, il che significa che più della metà del fabbisogno energetico dell’Ue è stato soddisfatto dalle importazioni nette. L’Italia fa anche peggio della media Ue, essendo dipendente dall’estero per più dell′80% del suo fabbisogno energetico. Nello specifico del gas, l’Italia ne consuma 73 miliardi di metri cubi all’anno. Nel 2019 ha importato 72 miliardi di metri cubi di gas, un po’ meno nel 2020. Il 41% arriva dalla Russia, il 19% dall’Algeria, il 10% dal Qatar, il 9% dalla Norvegia e il 3% dagli Stati Uniti. L′80% del metano arriva in Italia tramite gasdotti, il restante 20% via nave sotto forma di Gas naturale liquefatto.La rete dei gasdotti è lunga 290.000 km, ed è formata per le infrastrutture principali dai gasdotti Tag (dalla Russia via Austria fino a Tarvisio), Transit Gas (dal Nord Europa al passo del Grries), Transmed (dall’Alegria via Tunisia fino a Mazara del Vallo), Green Stream (dalla Libia a Gela), Tap (dall’Azerbaijan via Grecia e Albania fino a San Foca in Puglia).

Una ampia diversificazione nelle forniture che tuttavia non risolve il problema dei prezzi. Problema con cui il Governo dovrà forse continuare a fare i conti anche per tutto il 2022: “L’Agenzia dell’Ue per la cooperazione dei regolatori dell’energia teme che questo aumento possa andare avanti fino al 2023. A quel punto la mitigazione delle bollette fatta finora non sarebbe più possibile, e servirebbero interventi strutturali”. L’Europa al momento si trova – come al solito – divisa tra posizioni diametralmente opposte. Una speranza di un aiuto da Bruxelles potrebbe arrivare dal vertice del 20 dicembre quando ne torneranno a discutere i ministri Ue dell’Energia.

Sorgente: Il Governo non mette più soldi sulle bollette. Spunta l’idea delle rate | L’HuffPost

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