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A mezza bocca molti ammettono che motivi per mobilitarsi ci sono ma solo Cecilia Guerra (Leu) e il 5S Patuanelli si espongono

Andrea Colombo

La Cisl non sciopera però manifesta. Non il 16 con Cgil e Uil ma due giorni dopo, sabato prossimo, in piazza Santi Apostoli a Roma per «migliorare i contenuti della manovra e impegnare il governo senza incendiare i rapporti sociali e industriali», come spiega il segretario Luigi Sbarra, ripetendo che «lo sciopero non è la via giusta: bisogna consolidare l’interlocuzione con il governo, nella consapevolezza che in questa delicata fase servono coesione, responsabilità e partecipazione sociale». Scrosciano applausi, perché «responsabilità» vuole che non si scioperi, anche se i motivi ci sarebbero, questo a mezza bocca lo ammettono in moltissimi nella metà di centrosinistra della maggioranza. Ma non sia mai «in questa delicata fase».

PER 24 ORE HANNO occupato militarmente le agenzie di stampa decine di anatemi sullo stesso tono, spesso sconfinanti nell’accusa di lesa maestà draghiana, chiamando in causa il Natale, la variante Omicron, la ripresa, l’immancabile interesse nazionale: ci mancavano solo le congiunzioni astrali infauste. Poi qualcuno, persino dall’interno del governo, si è ricordato che esiste il diritto di sciopero e che la funzione sociale dei sindacati non è spalleggiare sempre e comunque il governo, neppure se guidato dall’Impareggiabile. Il ministro Stefano Patuanelli per esempio, e va detto che i 5 Stelle si erano mantenuti molto più lucidi degli altri già a botta calda: Lo sciopero è un diritto, non penso sia irresponsabile. Alcuni temi che i sindacati pongono sono sicuramente condivisibili anche se la nostra riforma del fisco è giusta». Sul metodo, che nel determinare la reazione dei sindacati è stato fondamentale, il ministro dell’Agricoltura è più drastico: «I sindacati non chiedono la concertazione. Chiedono un po’ di condivisione».

SI FA SENTIRE ANCHE la sottosegretaria all’Economia di LeU Cecilia Guerra, che si dice sì «preoccupata» ma sottolinea che la scelta dei sindacati è «legittima», che il sindacato «deve svolgere il suo ruolo di rappresentanza» e soprattutto riconosce che «gli effetti redistributivi della riforma fiscale sono discutibili». È un eufemismo ma di più una sottosegretaria all’Economia non può evidentemente dire. Persino dall’interno del Pd qualche voce meno irragionevole si leva. Il responsabile degli Enti locali Francesco Boccia afferma che «la politica non dovrebbe chiedersi perché due sindacati scioperano ma cosa possiamo ancora fare tutti insieme. Bisogna riannodare il filo del dialogo». Insomma: più che criticare lo sciopero conviene cercare di evitarlo.

È LA LINEA della segreteria, insistere sino all’ultimo sia con i segretari di Cgil e Uil Landini e Bombardieri sia con Draghi e il ministro Franco per riaprire non la trattativa ma un confronto per ricucire lo strappo senza dover rimettere le mani nella manovra, cosa che il premier non è disposto a fare. Accelerare l’iter del decreto sulle delocalizzazioni potrebbe essere un passo nella giusta direzione, soprattutto se accompagnato da qualche ulteriore intervento sul caro-bollette, essendo stato lo stesso Maurizio Landini a segnalare il peso negativo della bocciatura da parte di Lega, Forza Italia e Iv di quel contributo di solidarietà che Draghi avrebbe invece voluto. Ma di concreto, per ora non c’è niente. «Non c’è e non è previsto un incontro con Draghi. Se qualcuno dovesse chiamare siamo pronti ad andare ma al momento ci sono zero possibilità che si possa ritirare lo sciopero», fa il punto senza alcun ottimismo il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri.

Il tentativo del Pd si spegnere l’incendio prima che divampi è comprensibile ma il silenzio del segretario Letta, che non è andato oltre due parolette di circostanza peraltro neppure sue ma affidate alle solite «fonti», rivela quanto profondi siano l’imbarazzo e la difficoltà del Nazareno. Perché la decisione di Cgil e Uil ha davvero una componente politica. Prende di mira la scelta dell’ala sinistra della maggioranza, e soprattutto del Pd, di non disturbare mai il manovratore, di non farsi sentire sulle pensioni prima, sulla riforma fiscale poi, pur di evitare tensioni con Draghi. Nel merito lo sciopero è contro un governo che non ha dato segni forti di avere come orizzonte la redistribuzione e anzi sul quel fronte è stato più che timido. Politicamente è contro il Partito democratico.

Sorgente: I «responsabili» all’attacco di Cgil e Uil E il Pd si eclissa | il manifesto

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