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Finché il PD occuperà il campo della sinistra, tanti operai penseranno che il cambiamento sia impossibile, o che sia contro di loro.

Giorgio Cremaschi

Gli ultimi sondaggi danno il PD primo partito e nello stesso tempo ultimo nel consenso tra gli operai.
Una ricerca di IPSOS per il Corriere della Sera ci dà la dimensione del totale distacco della classe operaia dal partito che in Italia ufficialmente rappresenta la sinistra. Naturalmente i dati vanno calibrati, tenendo conto che ben oltre il 40% degli intervistati nei sondaggi si rifugia nell’astensione; e che poi ancora di più sono coloro che non vanno a votare. Stiamo quindi parlando delle tendenze politiche di circa metà della popolazione, mentre l’altra metà ha rinunciato a votare.

Tuttavia, tra coloro che si pronunciano il dato è comunque significativo: quasi il 28% degli operai sceglie la Lega contro l’8% che sta con il partito di Letta. Se si sommano anche i Cinquestelle e tutti gli alleati possibili di centrosinistra da un lato, quelli di centrodestra dall’altro, si raggiunge un rapporto di meno del 30% contro circa il 55%.

Cioè tra gli operai che votano quelli che scelgono la destra sono quasi il doppio di quelli per il centrosinistra. Dal 1945 non era mai successo.

È vero che nella storia d’Italia il PCI non ha mai raggiunto tra gli operai le percentuali di consenso dei partiti socialdemocratici e laburisti del nord Europa, perché c’era la Democrazia Cristiana a impedirlo. Ma è sempre comunque stato il partito più rilevante e culturalmente egemone nella classe operaia. E le grandi conquiste civili del paese negli anni settanta, il divorzio, l’aborto, i primi riconoscimenti di più vaste libertà contro le oppressioni di sesso e le discriminazioni di genere, sono stati proprio frutto dell’intreccio tra lotte sociali e lotte civili, nessuna usata e contrapposta rispetto alle altre.

Con gli anni ottanta è cominciata invece la separazione tra diritti sociali e diritti civili e oggi ciò che appare ufficialmente come sinistra ha abbandonato la centralità della questione sociale; per questo è maturata la rottura con gli operai. Rottura reciproca, perché in realtà il PD e chi lo rappresenta da tempo è sostanzialmente disinteressato non solo alla condizione, ma allo stesso consenso del mondo del lavoro manuale e operaio. Certo quel partito gode ancora della rendita del consenso degli operai di una volta che oggi sono pensionati, che lo scelgono al 37% e che ancora vogliono credere che esso sia come la sinistra del passato. Ma gli imprenditori e i manager, che all’opposto degli operai sono oggi in maggioranza con il PD (26%), testimoniano il cambiamento di campo sociale, frutto di anni di scelte tutte dello stesso segno.

Il PD ha fatto suoi i due più gravi colpi ai diritti del lavoro della storia della Repubblica: la legge Fornero e l’abolizione dell’articolo 18. E poi è sempre stato il partito delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, dell’europeismo di stampo confindustriale, del rigore di bilancio e dell’austerità. Nel linguaggio della classe dirigente di quel partito la parola lavoro si associa sempre a impresa e imprenditori. Ed è l’approvazione di questi che viene maniacalmente ricercata.

Per quali ragioni allora gli operai oggi dovrebbero votare partito democratico? Così la maggioranza di loro si è prima affidata ai cinquestelle, poi alla destra.

Già, ma perché gli operai che ancora decidono di votare si affidano in maggioranza a Salvini e a Meloni? La risposta è semplice e brutale: perché, una volta tramontata la funzione di rottura e l’apparente diversità del M5S, nell’immaginario e nella politica istituzionale l’alternativa reale è tra QUESTA sinistra e QUESTA destra. E se questa sinistra odia gli operai e da decenni li colpisce con le riforme liberiste, il populismo reazionario della destra diventa un paradossale rifugio. Se lo stato sociale viene smantellato allo stesso modo, sia da chi si dice di sinistra, sia da chi si dice di destra, allora ci si affida di più al padrone privato nel lavoro, alla destra nella politica. La quale riesce a far credere che i nemici degli operai non siano i padroni, ma di volta in volta i migranti, i lavoratori pubblici, i percettori di reddito di cittadinanza, chi lotta per diritti civili o per l’ambiente, chiunque non sia il mondo della ricchezza e del capitalismo.

Nell’autunno del 2006 i segretari generali di CGIL CISL UIL furono travolti dai fischi nelle assemblee a Mirafiori, allora le assemblee le facevano ancora. Gli operai protestavano per la delusione delle promesse mancate del governo Prodi e riversavano sui sindacati confederali la loro rabbia. Intervistati dai giornalisti ai cancelli della fabbrica, molti di loro dissero: si occupano solo dei migranti e non di noi. La guerra dei poveri è l’alimento culturale della destra, ma è la sinistra liberista che ne costruisce gli ingredienti.

Fino a che il campo della politica si dividerà tra una sinistra nemica degli operai, che non riesce neppure a sostenere il salario minimo, e una destra che li indirizza verso falsi nemici, non ci sarà nessuna evoluzione positiva, il paese resterà bloccato e alla mercé del tecnocrate e dell’uomo della provvidenza di turno.

La crisi pandemica, quella economica e quella ambientale richiederebbero una sinistra in grado di costruire un blocco sociale progressista, per cambiare davvero la società. Ma se si spingono gli operai verso la destra, che non vuol cambiare niente anzi vuole tornare indietro, è impossibile andare avanti.

Così il fatto che un partito nemico degli operai occupi stabilmente il campo della sinistra, non solo rende precario e di breve durata ogni successo di quel partito, ma danneggia alla radice ogni lotta per la giustizia e l’eguaglianza, colpisce la stessa democrazia.

Sono decenni che gli operai subiscono i colpi della politica e dell’ideologia liberista, dell’individualismo, della rottura di solidarietà, della sottomissione al mercato, dell’imposizione pratica e culturale della comunanza degli interessi coi ricchi e i padroni. Ci sono settori del mondo del lavoro che non si sono piegati che lottano e resistono. Ma resta il nodo di fondo per chi come noi vuole cambiare la società. Senza gli operai non si va da nessuna parte, ma finché il PD occuperà il campo della sinistra, tanti operai penseranno che il cambiamento sia impossibile, o che sia contro di loro.

Su questa contraddizione bisogna costruire l’alternativa alla destra e alla sinistra finta.

 

Sorgente: Senza gli operai non si va da nessuna parte, con il Pd pure

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