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Il carcere di Rebibbia a Roma Il drammatico racconto di Amra che il 31 agosto mise al mondo la sua piccola a Rebibbia: “C’era una che diceva che avrebbe ucciso mio figlio non appena fosse nato”

di Andrea Ossino

Amra sa di aver sbagliato. Con quattro figli alle spalle, una vita nel campo nomadi di Castel Romano e diversi soggiorni in carcere, la sua maturità va oltre la terza media, l’ultima scuola che ha frequentato.

Amra sa che non è l’unica ad aver sbagliato: “La mia bambina ha rischiato di morire, chiedevo aiuto, avevo paura, ma forse nessuno mi credeva. Mia figlia è nata in carcere solo grazie all’aiuto della mia amica Marinella”, racconta mentre la commissione carceri della camera penale di Roma e il garante dei detenuti del Lazio, Gabriella Stramaccioni, approfondiscono ciò che è accaduto la notte del 31 agosto scorso, nel penitenziario di Rebibbia, quando una bambina è venuta al mondo.

Amra ha 23 anni e due occhi grandi, color nocciola. Sbucano fuori dalla mascherina che copre un volto ancora da bambina: “Questa cosa la faccio solo perché nessuno deve vivere ciò che ho vissuto io, nessuna donna dovrebbe partorire in carcere”, dice al suo avvocato, il penalista Valerio Vitale.

Amra, la hanno arrestata mentre era incinta.

“Secondo lei mi piace quello che faccio? La mia vita è bella? Non l’ho scelta io”

Com’è la sua vita?

“Non sono mai andata a una festa, non sono mai stata a ballare, non ho mai frequentato una palestra. Io non sono come tutte le altre ragazze”.

E adesso ha vissuto anche un’esperienza che non dimenticherà facilmente

“Sono stata arrestata il 22 giugno. Ero incinta di sei mesi e mi hanno portata in ospedale. I poliziotti erano gentili e in commissariato ci hanno dato da bere e mangiare. Il giorno dopo però mi hanno accompagnata in tribunale e dopo la decisione del giudice sono arrivati i poliziotti vestiti di blu e mi hanno portata in carcere, nel reparto cellulare, dove ci sono piccole celle”

Come stava?

“Dopo due giorni gli ho detto che avevo delle perdite e mi hanno portata in ospedale, al Pertini. Mi hanno fatto un monitoraggio e ho spiegato che in passato ho avuto minacce di aborto. Non mi hanno ricoverata e quindi sono tornata a Rebibbia, questa volta in infermeria. Mi hanno detto che tutto andava bene e che non c’era bisogno di ricoverarmi”.

Per monitorarla meglio?

“Avrei preferito 6 mesi negli altri reparti piuttosto che un giorno in infermeria. Ero da sola in cella, le altre urlavano, una ragazza sbatteva la testa contro il muro, un’altra si strappava i peli e li mangiava. Una donna diceva che avrebbe ucciso mia figlia non appena fosse nata. Io piangevo sempre. Poi il 9 luglio è finito l’isolamento covid e hanno portato la mia amica Marinella, era stata arrestata con me”.

Quando sarebbe dovuta nascere sua figlia?

“Il 10 settembre, ma già il 18 agosto ho avuto contrazioni. Mi hanno visitata anche il 22 e il 26 agosto. Il mio avvocato chiedeva al tribunale di farmi uscire perché avevo avuto anche altre gravidanze a rischio. Ma il giudice non voleva”.

Quindi cosa è successo?

“La sera del 31 agosto stavo male, avevo mal di testa e di pancia, mi hanno dato una tachipirina. Era passata anche l’assistente, le avevo detto che stavo male ma è andata via. Non ho mai pianto così tanto, avevo paura per la mia bambina. Avevo troppo dolore. Marinella allora ha iniziato a suonare. L’assistente ha detto: ‘Chi è che suona a quest’ora? cosa volete? Ora arrivo’. Era tutto buio, l’assistente è arrivata fuori dalla cella ma non mi credeva, voleva andare via. Marinella ha urlato: ‘Non ci lasciare’. Mi dicevano di chiudere le gambe, ma Marinella mi ha detto di non farlo perché il bambino poteva soffocare. Poi ho messo la mano sotto e ho sentito la testa, avevo paura cadesse per terra e mi sono sdraiata. È nata da sola e non piangeva, voi come la chiamate quella cosa, la camicia?”

La placenta?

“Si quella. Era tutta sulla sua faccia e non respirava, Marinella ha detto alle assistenti di levarla, di darle un guanto, ma loro dicevano di non toccarla. Quindi Marinella l’ha levata con le mani e la bambina ha iniziato a piangere, a respirare. Il dottore è arrivato dopo e poi anche l’ambulanza. Mi ricordo che hanno discusso perché nessuno voleva tagliare il cordone, poi ci ha pensato il medico del reparto”.

E dopo il parto?

“Sono rimasta in ospedale. E poi a casa, dopo che mi hanno condannata”.

Ora come sta la piccola?

“Bene, tutti i miei figli stanno bene, il più grande ha 5 anni tra un pò andrà a scuola. Non deve avere un futuro come il mio”.

Cosa vorrebbe che facesse quando è grande? Cosa sogna per lui?

“Non so, forse in un ristorante, non ho sogni”.

Anche lei può fare un’altra vita.

“Io voglio solo lavorare, per questo sto provando ad avere i documenti italiani. Devo cambiare vita, lo devo fare per i miei figli”.

Sorgente: Parla la ragazza che partorì da sola in cella: “Mia figlia soffocava nella placenta e loro mi dicevano di chiudere le gambe” – la Repubblica

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