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È all’opera una parodia dell’intelligenza, priva di empatia che rende ormai spuntate le armi della persuasione

Dovessi campare mille anni, leggendo e analizzando una per una le argomentazioni contro i vaccini e contro quel loro necessario complemento che sono i green pass, non riuscirei ad assimilare nemmeno un minimo frammento di quella maniera di pensare e di comportarsi. Come alla stragrande maggioranza dei miei simili, più di ogni singola polemica, più di ogni manipolazione dei dati, più di ogni infantile enormità stile «dittatura sanitaria» e «grande reset» è il tono di questa gente, capace di negare anche i numeri dei morti pur di godersi un posticino nel sole del dibattito, che mi infastidisce profondamente. Ci vedo all’opera un’intelligenza, sarebbe meglio dire una parodia dell’intelligenza, priva di empatia: mancanza orribile, non meno dannosa per l’umanità, a lungo andare, degli effetti del monossido di carbonio o delle carestie da siccità.

Basta guardare come parlano, ripetendo le loro frottole, con lo sguardo vitreo di chi ritiene che le parole, e la loro apparente concatenazione logica, bastino da sole ad annullare la realtà. E il bello è che, in fin dei conti, sui due fatti centrali potremmo essere tutti d’accordo: i vaccini sono uno strumento ancora lontano dalla perfezione, non garantendo l’immunità in modo totale; e i green pass non andranno impiegati un giorno più del necessario, perché è vero, l’ombra del controllo pesa su tutte le società e non è certo una cosa da prendere sottogamba. Ma è proprio di fronte a queste constatazioni elementari che il discrimine tra gli esseri umani non è più l’intelligenza, ma l’empatia.

Prendiamo il sentimento più elementare e comprensibile: la paura del vaccino. Chi di noi non l’ha provata ? Ebbene la finta intelligenza, lasciata sola, è capace di costruire intorno al puro e semplice fatto della paura, che è difficile accettare ed ammettere in quanto tale, tutto un reticolato di motivazioni che possiedono l’apparenza di un ragionamento conseguente e supportato da fatti. È così che ci si condanna a vivere in quello che una grande scrittrice cattolica americana, Flannery O’ Connor, ha definito «un mondo che Dio non ha mai creato». L’empatia, tutto al contrario, è una consigliera più prudente e insieme più aperta alle infinite possibilità della vita. Non esige da te che superi la paura del vaccino, non zittisce le tue eventuali preoccupazioni filosofiche sull’opportunità del green pass. Ti suggerisce solo di collegare la tua singola esistenza a ciò che è umano in te come negli altri. E di adottare strumenti imperfetti perché altri, per adesso, non ce ne sono. Perché molti medici possano tornare a occuparsi di tutte le altre patologie necessariamente trascurate, per esempio. Perché sia garantita la possibilità di visitare i malati nei luoghi di cura, per dirne un’altra, che è una parte irrinunciabile dei processi di guarigione. E dunque, ci provi, assieme a milioni di persone come te: anche se sai che vaccini e green pass hanno i loro limiti, sono strumenti imperfetti, lo fai perché l’alternativa è terribile, perché chi vive assoggettato alla propria psiche individuale, ancora prima che nocivo agli altri, è come uno condannato in vita alle pene dell’Inferno.

Per quanto mi riguarda, mi sarei vaccinato e userei il green pass anche se ritenessi attendibili alcune delle fanfaluche dei negatori. Perché il rischio esistenziale, ovvero la perdita di connessione empatica con l’umano, peserebbe sulla bilancia molto più di un supposto effetto collaterale o di una momentanea perdita di libertà. Credo di avere descritto un sentire così comune da rischiare di essere banale; molto meno banale, e degno dell’attenzione di un grande romanziere, è uno scenario sociale in cui la mancanza di empatia, di compassione, di rispetto per il sapere autentico si infiltra nelle case, nella cerchia degli affetti, addirittura nelle relazioni d’amore. Perché, al netto della tragedia pandemica, è questo il dramma psicologico che siamo costretti a vivere, ed è ogni giorno più evidente. Sarà una minoranza di pazzi, ma è una minoranza troppo numerosa: conosciamo tutti persone che non si sono vaccinate, o che pensano che mostrare il green pass in treno sia un attentato alla Costituzione.

Siamo legati a loro da lunghi affetti e consuetudini, o siamo parenti stretti, nutriamo stima nei loro confronti, li ammiriamo per il loro lavoro. Non possiamo usare gli idranti per disperderli, non possiamo cambiare canale se li sentiamo affermare un’idiozia, e ogni giorno che passa ci cascano le braccia alla sola idea di discutere con loro. Perché ormai, è inutile che lo neghiamo, le armi della persuasione si sono totalmente spuntate. Mi sorprende che qualcuno di buona volontà le invochi ancora, quando è evidente che chi si doveva persuadere, si è già persuaso e aspetta la terza dose. Queste persone di cui parlo, questi nostri amici e consanguinei, anche se arrivasse un angelo nel loro soggiorno a scongiurarli di rinunciare all’egoismo e al narcisismo che li possiedono, non lo starebbero nemmeno a sentire. Non sono nemmeno no vax, se intendiamo con questa formula una specie di attivismo. Al contrario, loro non amano affatto parlarne, anche a causa di un elementare sentimento di vergogna, e sperano sempre che il discorso non cada sull’argomento. Sul loro profilo Instagram non troverete immagini di Draghi con i baffetti di Hitler, ma copertine di bei libri, cuccioli, tramonti. Sono capaci di andare a cena da qualcuno e trasformare quella casa in un focolaio, ma sono angosciati per la sorte delle donne in Afghanistan e per il global warming. Sperano che la buriana passi senza costringerli a mettersi in gioco, sperano addirittura di prendersi il Covid in forma lieve, come una riserva privata di anticorpi. Non se lo potranno mai confessare, ma noi lo vediamo bene: a sorreggerli c’è il turpe, inconfessato sentimento che tanto a vaccinarsi ci abbiano pensato gli altri. Ma l’esperienza ce lo insegna: noi non togliamo l’affetto a chi si macchia di comportamenti altrettanto incivili, se è possibile: quando mai abbiamo troncato con qualcuno perché guida in modo imprudente, e magari ci beve sopra un paio di bicchieri ? Quando mai abbiamo rinunciato a frequentare qualcuno che non fa la raccolta differenziata, o si fa pagare al nero un lavoretto ? Per dirla con la Bibbia, non siamo noi i guardiani dei nostri fratelli, e anche se a dirlo era Caino, in questo caso aveva ragione. Sono solo le leggi, e le istituzioni preposte a farle rispettare, che ci possono salvare. La norma è impersonale, e non distingue tra chi la ritiene giusta e chi la ritiene un sopruso. Ci solleva da discussioni, da conflitti, da silenzi addolorati che sono del tutto inutili e rischiano di trascinarsi dietro una specie di Long Covid emotivo, nel quale continueremo a voler bene a persone alle quali non riusciremo a perdonare quello che non hanno fatto, i sentimenti che non hanno provato. Tra tante scalogne inevitabili che la pandemia ha portato con sé, norme limpide e l’autorità necessaria a farle rispettare potrebbero almeno sollevarci dalle spalle l’onere di incarnare — ci mancava solo questa ! — un assurdo perbenismo sanitario.

Sorgente: L’amico no vax e il solco incolmabile

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