I giudici hanno rigettato l’appello degli avvocati di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore barese che provò a scalare le grandi aziende italiane portando prostitute a casa dell’ex premier, confermando la condanna di appello a due anni e dieci mesi
Dunque, non erano cene eleganti. Ma quelle organizzate dall’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, erano feste in cui più donne si prostituivano. Tredici anni dopo (le serate a Palazzo Grazioli cominciarono a settembre del 2008) la giustizia mette un primo punto definitivo su un pezzo di storia del nostro Paese. I giudici della Cassazione, la scorsa settimana, hanno infatti rigettato l’appello degli avvocati di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore barese che provò a scalare le grandi aziende italiane portando prostitute a casa dell’ex premier, confermando la condanna di appello a due anni e dieci mesi.
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Tarantini non andrà in carcere perché gli sono state riconosciute attenuanti e perché, soprattutto, una parte importante dei reati è andata prescritta. Ma quello che resta è uno spaccato inquietante: prostitute, alcune delle quali vicine a personaggi della criminalità organizzata, che frequentavano casa del presidente del Consiglio. Imprenditori che le pagavano nella speranza di ottenere prebende dal premier. L’ennesimo macigno lungo il cammino di Berlusconi verso un’ipotetica sedia da Presidente della Repubblica. “Tarantini e gli altri imputati – si legge infatti nella sentenza di Appello ora confermata dalla Cassazione – assecondavano il desiderio dell’allora premier Silvio Berlusconi, presso le residenze di Palazzo Grazioli, Villa Certosa e Villa San Martino, di circondarsi in momenti di diporto extra-istituzionale di donne avvenenti e disponibili. Per questo hanno profuso un’intensa attività mirata a soddisfare i desiderata dell’ex premier procurandogli la possibilità di interagire in contesti di assoluta intimità fisica”. Non c’era alcun dubbio, secondo i giudici, che quelle fossero prostitute. “Si muovevano – scrivono ancora nella sentenza – nell’esclusiva prospettiva di conseguire munifiche elargizioni economiche o altri vantaggi personali o addirittura di dare una svolta alle proprie esistenze”.
“Sullo sfondo – continuano – di questo scenario ludico e disimpegnato si è nitidamente stagliata l’immagine dominante e assorbente di Gianpaolo Tarantini, il quale, una volta introdotto nelle ‘stanze del premier’, si è adoperato a soddisfarne le urgenze sessuali mosso dalla finalità di lucrare dapprima la confidenza e quindi la gratitudine e la riconoscenza dell’ex premier per l’opera di continuativa ricerca e ingaggio di donne disponibili. Non a caso il progetto di Tarantini è stato proprio quello di sfruttare il supporto di Berlusconi per realizzare la propria ascesa economica dapprima mediante l’elezione a membro del Parlamento europeo e poi, tramontato questo orizzonte, attraverso il coinvolgimento in un giro di commesse pubbliche riferibili a Protezione civile e Finmeccanica”.
Tarantini, dopo la decisione della Cassazione, ha ribadito la sua innocenza – “Non ho costretto nessuno” – e ha difeso il Cavaliere – “Puniscono me per colpire lui”.
Ma in realtà Berlusconi avrebbe in piedi anche un processo Bari ma, in quello che probabilmente è il processo più incredibile e lungo della stua storia giudiziaria, è quasi scontato che non si potrà arrivare ai giudici. L’ex premier è accusato di aver pagato Tarantini perché mentisse ai giudici sulla questione proprio delle cene. La tesi delle “cene eleganti”, insomma. Ora definitivamente bocciata. Bene a dodici anni dai fatti, a sette dall’udienza preliminare, a quasi tre da quella che avrebbe dovuto essere la prima udienza, il processo è bloccato e dovrà ora praticamente ripartire da zero: è arrivato un nuovo giudice e gli avvocati (Roberto Sisto e Niccolò Ghedini) hanno riproposto una serie di questioni che erano già state respinte dal precedente giudice. La prossima udienza è fissata il 26 novembre, tra un mese. Nulla, rispetto a 12 anni.
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