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La presunzione di innocenza dei miliardari

Ormai è ampiamente dimostrato che i ricchi eludono il fisco per centinaia di miliardi all’anno. Ma nonostante ciò, godono di protezione e vengono considerati capaci di un’accorta contabilità e rispettosi delle regole

Dopo la recente indiscrezione di ProPublica su come i miliardari aggirano le tasse sul reddito, è spuntata una narrazione: ci viene detto che nonostante i piani dei magnati per eludere la responsabilità fiscale possano essere immorali, le tattiche, secondo le parole di ProPublica, sono tutte «perfettamente legali», idea che poi ripresa dall’Associated Press, dal New York Times e dal mondo degli esperti.

Questa convenzione – descritta come un fatto indiscutibile da tutti i media mainstream – è additata come testimonianza del fatto che non ce la si debba prendere con il giocatore ma con il gioco: dovremmo essere arrabbiati solo con il sistema fiscale e non necessariamente con gli oligarchi che attraverso di esso si arricchiscono. In effetti, l’unica persona finora ritenuta degna di un controllo da parte delle forze dell’ordine non è uno dei miliardari che evadono le tasse, ma la fonte della fuga di notizie del leak dell’Irs.

Chiedetevi: perché si formulano ipotesi tanto generose sulla presunta legalità delle tattiche fiscali dei miliardari? Tali presupposti, infatti, riflettono profondi pregiudizi e privilegi. Bisogna capire che gran parte di ciò che è legale – scappatoie fiscali, detrazioni e altri schemi oscuri – è un problema enorme e scandaloso.

Si tratta di cogliere anche che i miliardari hanno eserciti di avvocati e commercialisti per ideare schemi di elusione fiscale che aderiscono alla lettera (anche se non allo spirito) della legge, permettendo loro di pagare una miseria di tasse rispetto alle ricchezze che stanno accumulando, come ha documentato ProPublica. Ed è assolutamente vero che al momento non è stata presentata alcuna prova che dimostri che uno dei miliardari specifici nel rapporto di ProPublica abbia violato gli statuti fiscali statunitensi.

Tuttavia, la corretta presunzione legale di innocenza ha poco a che vedere con i casi di cui parliamo. Nelle ultime settimane, abbiamo visto l’assunto generale che i miliardari non avrebbero mai nemmeno tentato di forzare o violare le regole. Siamo portati a credere che quando si tratta di tasse, ciò che fanno i magnati, gli aristocratici, i rampolli e i Padroni dell’Universo non sia semplicemente lecito, ma perfettamente legale, visto che le norme non vengono solo applicate, ma profondamente rispettate.

Si tratta di un normale beneficio del dubbio: i miliardari possono dare molti soldi ai politici, ma raramente questi vengono denunciati come se fossero esplicitamente corrotti. Possono sfruttare i loro imperi filantropici per aumentare i loro interessi commerciali, ma non sono quasi mai descritti come disonesti. Possono pagare un’aliquota fiscale inferiore rispetto a tutti gli altri, ma raramente vengono descritti dai media come veri e propri elusori. Di tutto ciò si parla solo per dire che «è così che funzionano le cose».

Sia chiaro, non sto accusando Jeff Bezos, Elon Musk, Warren Buffett o chiunque altro di aver effettivamente commesso crimini: se lo facessi, un esercito di avvocati e di adetti alle pubbliche relazioni starebbe già buttando giù la porta del Daily Poster. Sto semplicemente sottolineando che nella stessa arena politica in cui gli indigenti vengono regolarmente processati e condannati dalla stampa, pochi osano solo pensare che qualcosa di leggermente losco potrebbe esserci dietro alle dichiarazioni dei redditi dei miliardari. Pochi osano chiedere quanti di questi modelli si trovino nella zona grigia tra l’elusione fiscale legale e l’evasione fiscale inammissibile. Ancora meno suggeriscono che questi dati dovrebbero spingere a un qualche tipo di indagine governativa su sofisticati paradisi fiscali e tattiche di elusione.

Ricorda Leslie Nielsen che in Una Pallottola Spuntata dice «Non c’è niente da vedere qui, per favore disperdetevi» di fronte a un edificio in fiamme, anzi è ancora più ridicolo. È come se un’agenzia di stampa pubblicasse il video del furto al Bellagio, e poi tutti i politici del Nevada e giornalisti di Las Vegas si precipitassero a insistere sul fatto che non dovremmo nemmeno indagare sulla possibilità che la squadra degli Ocean’s Eleven possa aver infranto alcuna legge.

Questa presunzione di innocenza non viene mai concessa ai poveri accusati di piccoli furti, perché solo le persone molto facoltose vengono ritenute non così rozze da infrangere consapevolmente la legge al servizio dell’arricchimento personale. Ciò che colpisce è che questa presunzione si scontra con ampie prove che le leggi fiscali statunitensi – nonostante siano molto deboli – vengano sistematicamente violate dai ricchi.

Un’ondata di crimini fiscali

[Continua dalla sorgente …]

Sorgente: La presunzione di innocenza dei miliardari – Jacobin Italia

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