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Tre passi per impadronirsi delle nostre cellule, disattivare le difese e replicarsi. Ma i progressi nella conoscenza di Sars-Cov-2 serviranno a sconfiggerlo

Un virus quasi perfetto. Da quando è stato isolato sul finire del 2019 ad oggi, Sars-Cov-2 si è evoluto divenendo sempre più capace di infettare, come dimostra la contagiosissima variante Delta. Ma dietro a questa sua capacità ci sono molti meccanismi che rendono il virus, nostro malgrado, davvero complicato da sconfiggere. Ecco tutto ciò che sappiamo – e che dobbiamo ancora scoprire –   su come Sars-Cov-2 riesce ad entrare nelle nostre cellule, moltiplicarsi e andare ad infettare un nuovo individuo.

Uno zucchero per mimetizzarsi

Una delle principali caratteristiche dei coronavirus è la presenza sulla loro superficie della proteina spike. È grazie ad essa che il virus riesce a penetrare all’interno dell’ospite. Una caratteristica grossolana – la spike- che il virus cerca di camuffare ricoprendo questa struttura con molecole di “zucchero”, i glicani.

Un espediente messo in atto per non farsi riconoscere dal sistema immunitario della persona infettata. Non solo, la presenza di questi zuccheri aiuta la proteina spike a migliorare il legame con le cellule da infettare. Non a caso, in uno studio della University of California San Diego, è stato dimostrato che modificando la composizione dei glicani è stato possibile ridurre l’infettività del virus diminuendo la sua capacità di legarsi all’ospite. Un meccanismo potenzialmente utile nella ricerca di nuovi farmaci capaci di “disinnescare” la forza di Sars-Cov-2.

La “chiave mobile” giusta

Per comprendere la facilità con cui il virus riesce ad infettare le nostre cellule ci sono voluti dettagliati studi sulle caratteristiche della proteina spike. Pensare che l’ingresso dipenda da una semplice interazione tra proteina spike e ACE 2 – il recettore presente sulle nostre cellule, che funge da ingresso al virus – è riduttivo. Secondo uno studio realizzato da Martin Beck del Max Planck Institute, la spike non è affatto una “chiave” che si inserisce nella serratura (ACE 2), bensì un qualcosa di estremamente versatile e mobile capace di una notevole flessibilità nell’andare a cercare i recettori a cui ancorarsi.

Ma c’è di più, perché a questa particolare caratteristica si aggiunge quella della capacità di mutare  in alcune particolari porzioni responsabili del legame con ACE 2. Co me spiegato sulle pagine della rivista Nature da Priyamvada Acharya, biologa strutturale presso il Duke Human Vaccine Institute di Durham, “le modificazioni che avvengono nella porzione S1 della proteina spike stanno aiutando il virus ad entrare con più facilità all’interno delle cellule”. 

La variante Delta, che si sta ora diffondendo in tutto il mondo, è caratterizzata infatti da molteplici mutazioni che sembrerebbero migliorare la capacità di legarsi all’ACE2 ed eludere il sistema immunitario.

 

 

Nessun intermediario

Una volta avvenuto il legame, non è affatto finita. Per entrare Sars-Cov-2 sfrutta altre componenti messe a disposizione dalle nostre cellule. Una di queste è TMPRSS2, un enzima particolarmente presente a livello dell’albero respiratorio.

Ma il vero “colpo da maestro” del virus consiste nel riversare il suo materiale genetico direttamente nella cellula, cosa che non avviene con altri tipi di coronavirus che invece utilizzano gli endosomi per veicolare il proprio Rna.

Una caratteristica, dimostrata grazie ad uno studio dell’Imperial College di Londra, che dà modo al virus di infettare velocemente le cellule e che spiega perché l’utilizzo dell’idrossiclorochina – che agisce a livello degli endosomi – è risultata fallimentare contro Sars-Cov-2.

 

 

Fermi tutti

Ma ciò che rende particolarmente aggressivo il virus è la sua capacità di orchestrare la propria replicazione – l’unico obiettivo dei virus è riprodursi, nulla più – spegnendo qualsiasi attività della cellula ospite. Secondo la virologa Noam Stern-Ginossar del Weizmann Institute of Science di Rehovot, sarebbero tre i meccanismi che Sars-Cov-2 mette in atto per raggiungere il risultato.

Meccanismi in comune con altri coronavirus ma la cui combinazione e velocità sembra essere massima proprio in Sars-Cov-2. Nel primo si elimina la concorrenza: una proteina virale (Nsp1), tra le prime ad essere prodotte, ha il compito di tagliare tutti gli mRNA della cellula che non contengono “tag” virali, ovvero tutti gli mRNA utili all’ospite per sopravvivere.

Risultato? La cellula ospite è completamente a servizio del virus; nel secondo, sempre grazie a Nps1, la traduzione delle proteine cellulari cala di oltre il 70%; nel terzo il virus spegne quei segnali d’allarme che la cellula mette in atto per segnalare di essere in difficoltà. Non a caso, nella variante Alfa, alcune mutazioni riscontrate hanno causato una ridotta capacità di produzione di interferone, molecola chiave per attivare il sistema immunitario nel riconoscere le cellule infettate dal virus.

Sacche impenetrabli

Una volta ottenuta a disposizione tutta la cellula, il virus può finire di replicarsi e formare nuove particelle virali pronte per andare a colpire altre cellule. Ma anche in questo caso il coronavirus stupisce tutti. Come spiegato a Nature da Mauro Giacca del King’s College di Londra, “Sars-Cov-2 non è un virus mordi e fuggi. Al contrario, persiste”.

Una volta assemblato Sars-Cov-2 non ha fretta di andare in un altro corpo: come dimostrato dallo scienziato italiano, le cellule infette si fondono con quelle adiacenti dando luogo alla formazione dei “sincizi”, strutture che secondo l’esperto permetterebbero alle cellule infette di prosperare per lunghi periodi di tempo sfornando sempre più particelle virali. Addirittura, a riprova della versatilità del virus, questi sincizi si formerebbero anche con i linfociti. In questo modo le cellule infette riuscirebbero a non farsi riconoscere dal sistema immunitario.

 

 

La via d’uscita

Quando le particelle virali sono mature e pronte ad invadere altri ospiti, la questione si complica ulteriormente. Per anni, grazie ai dati disponibili su altri coronavirus, si è sempre pensato che le particelle virali venissero espulse dalla cellula attraverso il complesso di Golgi, un apparato che attraverso la formazione di vescicole trasporta i nuovi virus dalla cellula all’esterno.

Con Sars-Cov-2 tutto cambia: secondo uno studio pubblicato da Nature, opera dei ricercatori dello US National Heart, Lung, and Blood Institute in Bethesda, Sars-Cov-2 anziché sfruttare il complesso di Golgi utilizza come uscita i lisosomi, strutture conosciute da decenni per essere i trasportatori della “spazzatura cellulare”. Una caratteristica peculiare che, secondo Carolyn Machamer della Johns Hopkins University, “potrebbe essere sfruttata nel tentativo di sviluppare nuovi farmaci antivirali diretti contro Sars-Cov-2”.

Abilitare la spike

Ma la corsa nell’andare ad infettare altri individui non è ancora finita. L’ultimo passaggio è quello che gli addetti ai lavori chiamano “cleavage”, il taglio di alcuni amminoacidi nella proteina spike in quello che viene chiamato “sito di scissione della furina”. Questa volta fa tutto l’ospite.

Pur non sapendo esattamente dove avviene il processo, questo taglio “abilita” la spike a riconoscere i recettori ACE 2 a cui legarsi. Ma a seconda delle caratteristiche del sito della furina il virus può essere più o meno contagioso. Le varianti Alfa e Delta, ad esempio, hanno diverse mutazioni in questo sito.

In uno studio ancora non pubblicato, realizzato da Vineet Menachery della University of Texas Medical Branch, è stato dimostrato che in SARS-CoV  viene attivato meno del 10% delle proteine spike. In SARS-CoV-2 tale percentuale sale al 50%. Nella variante Alfa è più del 50%. Nella variante Delta siamo a più del 75%. Un dato che se confermato spiegherebbe perché siamo di fronte alla variante più contagiosa mai isolata sino ad oggi.

Sorgente: Covid, un virus quasi perfetto. E per questo difficile da sconfiggere – la Repubblica

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