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La lettera, pubblicata oggi a tutta pagina sul “New York Times” chiede una svolta nella politica di Washington verso l’isola. Tra i firmatari Chomsky, West, Fonda, Ruffalo, Oliver Stone, ma anche Varoufakis, Corbyn e Lula.
Ieri però l’amministrazione ha annunciato nuove sanzioni. Mentre a L’Avana la situazione Covid preoccupa.
Storicamente contro il regine comunista a Cuba, tante cospirazioni americane (Usa o altro), cominciano a Miami. Ultima, l’uccisione del presidente di Haiti Jovenel Moïse lo scorso 7 luglio. Tutti i protagonisti di questa vicenda hanno un elemento in comune: la città di Miami e lo stato della Florida, negli Stati Uniti.

Let Cuba Live

«Caro presidente Joe Biden, è tempo di intraprendere una nuova strada nelle relazioni fra Cuna e Stati Uniti». Inizia così la lettera aperta intitolata «Let Cuba Live – lasciamo vivere Cuba», diretta al Presidente degli Stati Uniti e pubblicata oggi a tutta pagina sul New York Times e online sul sito letcubalive.com).
Un documento sottoscritto da oltre cento intellettuali americani e non solo, dove si chiede la fine dell’embargo: proprio mentre l’amministrazione Usa annuncia le prime sanzioni mirate contro «quegli elementi del regime cubano ritenuti responsabili della repressione delle manifestazioni che si susseguono sull’isola dall’11 luglio».

Attorno a Cuba la peggior memoria d’America

E tutto è sempre cominciato nella città di Miami, stato della Florida, radicalmente repubblicano, dove adesso ha scelto di risiedere il Donald sconfitto ma non arreso. E’ da Miami che a metà aprile 1961 partono gran parte dei miliziani anti castristi per la fallita invasione della baia dei Porci, messo in piedi dalla Cia. Dopo ‘Bay of the Pigs Invasion’, o col nome spagnolo di ‘batalla de Girón’, ora tornano le manifestazioni settimanali della comunità cubana a Miami contro il regime castrista di Cuba.

Ma Miami è molto altro e forse peggio

«Da decenni la città della Florida è al centro di molte operazioni di destabilizzazione dei governi latinoamericani: è successo anche con l’uccisione del presidente di Haiti», denuncia il Post. Nel buio profondo di quanto accaduto a ancora minaccia Haiti, una delle poche cose certe è che la compagnia di sicurezza che avrebbe assoldato i venti paramilitari colombiani accusati di aver compiuto l’attacco nell’abitazione di Moïse ha sede a Miami, e sarebbe gestita da un immigrato venezuelano che vive in città.

Miami centro di trame latinoamericane

Trame e fallimenti. «Da decenni la città è al centro di moltissime operazioni di destabilizzazione di vari governi latinoamericani, tutte più o meno segrete e quasi tutte fallimentari, a partire dalla celebre invasione della Baia dei Porci a Cuba, nel 1961». Le ragioni? la presenza di forti comunità di espatriati ed esiliati da vari paesi latinoamericani, soprattutto Cuba, Haiti e Venezuela, che in alcuni casi da decenni sperano di tornare al potere. L’ampia disponibilità di ex militari con esperienza in America Latina (subito fuori da Miami ha sede il Southern Command, il settore delle Forze armate americane che si occupa di America Centrale, America del Sud e Caraibi). La grande circolazione di denaro illegale, perlopiù proveniente dai traffici di cocaina. Infine una politica locale spesso corrotta e frammentata su base etnica.

Solo CTU Security senza ‘aiutini’?

Ma come ha scritto il Miami Herald, è difficile che CTU Security avesse le risorse e le competenze per organizzare un’operazione così complessa. E molti altri elementi poco chiari, per esempio il presunto coinvolgimento delle guardie di sicurezza che avrebbero dovuto proteggere la residenza di Moïse, il cui capo è stato arrestato qualche giorno fa. Lo stesso vale per un’altra operazione fallita miseramente l’anno scorso, quando l’ex membro delle forze speciali dell’esercito americano Jordan Goudreau tentò una missione in Venezuela per rapire il presidente Nicolás Maduro, portarlo in Florida e ottenere la taglia di 15 milioni di dollari del governo americano.

Dalla Baia dai porci alle porcatine

Inizialmente, con l’aiuto di parte dell’opposizione venezuelana, Goudreau radunò circa 300 miliziani pronti a un’invasione via mare. L’operazione fallì in maniera piuttosto comica, tra le altre cose perché la presunta missione segreta fu rivelata un paio di giorni prima del suo inizio da un dettagliato articolo di Associated Press. Le conseguenze furono comunque gravi: Goudreau decise di tentare ugualmente l’invasione, ma i suoi furono facilmente intercettati dalle forze venezuelane. Otto persone morirono e più di cento furono arrestate.

Perché sempre Miami

«Miami e la Florida meridionale sono spesso al centro di questo tipo di operazioni per diverse ragioni. Anzitutto, la presenza di grosse e influenti comunità di espatriati da vari paesi dell’America Latina, soprattutto Cuba, Haiti e Venezuela. Queste comunità sono spesso costituite da persone fuggite nel corso dei decenni dai regimi che governano il loro paese, contro i quali hanno dunque interessi concreti e risentimenti personali. La comunità cubana è la più attiva in questo senso», sottolinea il Post.

Ancora velleità d’invasione

Ma ancora negli ultimi giorni, dopo l’inizio delle ultime proteste contro il regime di Cuba, diversi esiliati cubani in Florida hanno proposto di organizzare una flotta navale per aiutare i loro connazionali, e le cose si sono fatte così serie che è dovuto intervenire il dipartimento per la Sicurezza interna. «L’attivismo e il risentimento di queste comunità trovano altri due elementi essenziali a Miami: l’abbondante presenza di ex personale militare e di denaro di provenienza illecita».

Florida, nuova patria dei mercenari

Negli ultimi anni, ha scritto il Guardian, nella Florida meridionale sono state fondate numerose compagnie di sicurezza privata, in parte da ex militari e in parte da membri delle comunità di espatriati, come nel caso di CTU Security. Ufficialmente si occupano di fornire guardie del corpo e altri servizi di sicurezza, spesso a personaggi ricchi e importanti che vivono proprio in paesi come Haiti, dove i servizi delle società di sicurezza privata di Miami sono piuttosto richiesti. Ma in alcuni casi queste società si avventurano in operazioni più rischiose, come successo con l’uccisione di Moïse.

Soldi facili dal traffico della droga

A questo contesto si aggiunge l’ampia disponibilità di denaro proveniente soprattutto dal traffico di droga, di cui Miami è un importante centro negli Stati Uniti, e il fatto che la politica della Florida è in buona parte determinata dalle comunità di espatriati, autonome e difficili da controllare. «Le comunità cubana e venezuelana, per esempio, hanno avuto un ruolo nel favorire la vittoria di Donald Trump in Florida, a tal punto che spesso le priorità degli espatriati sono diventate priorità del governo federale, come è successo con la decisione del 2017 di reimporre l’embargo economico su Cuba».

Embargo a caccia di voti

Negli scorsi giorni a Miami centinaia di emigrati cubani hanno manifestato contro il regime di Cuba e in solidarietà alle manifestazioni che contemporaneamente stavano avvenendo sull’isola. Come ha notato il Wall Street Journal, molti di loro hanno chiesto al governo americano di intervenire militarmente.

Sorgente: Chi chiede a Biden di togliere l’embargo a Cuba e chi da Miami ancora trama –

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