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La campagna dall’Italia di solidarietà a Pablo Hasel, il rapper spagnolo arrestato per le sue posizioni politiche, è un esempio di solidarietà militante transnazionale

Pablo Hasél è un rapper antifascista, ma anche un militante rivoluzionario: per questi motivi il 16 febbraio 2021 è stato arrestato. Notizie come queste, soprattutto per chi è militante, non sono certo inconsuete; quello che colpisce particolarmente in questa situazione sono però gli assurdi capi di accusa e la spietatezza utilizzata. A essere stati messi sotto inchiesta sono infatti parole, frasi e pensieri contenuti in alcune canzoni e tweet in cui viene espressa una posizione politica critica verso lo stato, la corona e la repressione poliziesca.

Quello che appare inquietante e assurdo è il fatto che l’organo che lo accusa di apologia di terrorismo, ingiurie alla corona e alle istituzioni dello stato sia l’Audiencia Nacional, tribunale erede delle strutture franchiste per la persecuzione dei reati politici. L’Audiencia è stata infatti formata nel 1977 in concomitanza con lo scioglimento del Tribunal de Orden Público, il tribunale «eccezionale» che Franco aveva creato per i crimini politici. E, nei fatti, L’Audiencia prosegue quel tipo di persecuzione, essendo una corte specializzata innanzitutto in crimini contro la corona e i suoi membri, di cui lo stesso Pablo Hasél è accusato.

Si tratta del primo caso di rapper che in Europa riceve un trattamento di questo tipo: altri, come il collega spagnolo Valtonyc, hanno cause aperte ma non si trovano in prigione. Il suo arresto ha suscitato da una parte la solidarietà internazionale di esponenti del mondo dello spettacolo e, dell’altra, una forte reazione delle piazze in tutta la Spagna, anch’essa repressa dalle forze dell’ordine con estrema violenza: denunce, arresti, feriti (emblematico il caso di una ragazza di 23 anni che ha perso un occhio a causa di un proiettile di gomma).

Una e più piattaforme per Pablo

È a partire da questi fatti che è nata in Italia la Piattaforma Pablo Hasél Libero, che coinvolge i/le militanti di due collettivi di Milano che riconoscono nell’arresto del compagno e rapper catalano un ingiusto atto repressivo, ledente alla libertà di coscienza e di parola. Oltre l’organizzazione di iniziative online e sul territorio (fra le quali il contest #Pabloliberofreestyle, un presidio e un murales in solidarietà), uno degli scopi fondamentali del progetto era ed è entrare in contatto con quella che, in Spagna e in Catalunya, si sta configurando come una piattaforma che, partendo dalla questione di Pablo, lotta per la richiesta di amnistia totale per tutti i prigionieri politici dello stato.

In questo contesto è nata l’idea di un viaggio a Lleida, città di Pablo, per comprendere più da vicino la situazione e girare un reportage (il cui montaggio è al momento in fase di lavorazione) allo scopo di documentare in presa diretta la vicenda e le sue evoluzioni, questioni per la maggior parte oscurate dai media tradizionali, se non per qualche raro articolo.

L’atteggiamento dello stato spagnolo nei confronti dei e delle militanti anticapitaliste ed indipendentiste è pubblicamente riconosciuto ma, vivendo in prima persona il clima della città fulcro della Plataforma Llibertat Pablo Hasél, si percepisce uno stato di controllo e repressione che va ben oltre ogni iniziale aspettativa. Forze dell’ordine e militari sono presenti in gran numero, mantenendo un atteggiamento che non tenta di nascondere nemmeno di facciata la loro avversione per i/le militanti politiche, sia durante le manifestazioni che nella vita quotidiana (pedinamenti, arresti, intimidazioni e tanto altro). Una politica della paura che viene attuata anche sul lavoro, con denunce che colpiscono anche chi semplicemente partecipa alle manifestazioni senza prendere parte agli scontri: denunce che non hanno solo effetti pecuniari ma che ad esempio impediscono anche l’accesso a posti di lavoro nel settore pubblico.

In risposta vi è invece l’organizzazione politica dei compagni e delle compagne, che proseguono una lotta che prova a essere sempre più capillare, estesa e dirompente. Il percorso in costruzione è la costituzione di una rete eterogenea, in grado di entrare in contatto con movimenti di tutta la Spagna: all’ultima manifestazione tenuta a Lleida per l’amnistia totale, erano presenti persone e movimenti dai Paesi Baschi, Barcellona, Madrid, Andalusia e altre zone dello Stato.

Resistere a una criminalizzazione capillare

I promotori della piattaforma, tra cui la madre di Pablo e la sua avvocata, ci hanno spiegato che potrebbe arrivare una condanna fino a dodici anni di carcere, questo perché, oltre alla prima accusa, il tribunale sta ripescando episodi passati della carriera militante del rapper, con l’intento palese di renderlo un esempio dissuasivo per chiunque intendesse portare avanti simili lotte. «Lleida è una città di provincia» ci confida Paloma, la madre di Pablo,

e la gente si conosce. Da quando Pablo è in carcere, quando incontro persone che conosco per strada, capita che esprimano il loro dispiacere per lui e per me. Ma la mia risposta è sempre la stessa: io non sono dispiaciuta, io sono orgogliosa di quello che mio figlio sta facendo.

Al momento i prigionieri politici in Spagna sono più di trecento. Grazie all’esempio di lotta e lavoro della piattaforma e la resistenza di Pablo nella situazione, la sua condanna e il suo arresto sono diventati il simbolo dell’atteggiamento repressivo di uno stato che formalmente si definisce democratico, ma che nei fatti non ha paura di ricorrere a forme extra-legali da «stato di fatto», con due significati. Da un lato, seguendo quanto dice il filosofo francese Jacques Rancière, «la dissoluzione della norma nel fatto è l’identificazione di tutte le forme del discorso e della pratica sotto un unico punto di vista», in questo caso quello della corona. Ne consegue l’altro lato, in cui allo stato di diritto si sostituiscono spesso l’arbitrarietà e l’ambiguità di decisioni da parte di ufficiali e forze dell’ordine.

Pablo non sta accettando alcun tipo di compromesso o patteggiamento, rifiuta di dare legittimità alle accuse ricevute andando incontro a una situazione di carcere duro: è infatti mancato il passaggio (che di solito avviene in due settimane) dalla struttura di primo ingresso al carcere (spazi ristretti, razioni di cibo limitate e ore d’aria ridotte), a una situazione più rispettosa dei diritti umani dei prigionieri. Pablo invece si trova in questo limbo da più di tre mesi, tant’è che il suo caso è stato portato di fronte alla Corte di Strasburgo.

Si tratta di una lotta che parte dalla rivendicazione della libertà di espressione e dalla difesa dei diritti umani di un militante-musicista come Pablo, ma che abbraccia temi e rivendicazioni politico-sociali che permeano la società spagnola e non solo. La rete che si sta costituendo è in questo senso un passaggio fondamentale per sostenere tutte le iniziative messe in campo – e in primis, una mobilitazione transnazionale per l’amnistia di chi si trova in carcere per crimini politici – per non arrendersi alla politica della paura e proporre mezzi e risorse in grado di contrastarla, sul piano sia sociale che politico.

Prospettive future

Pur vivendo in uno stato che in questo momento in termini qualitativi e quantitativi ci sembra diverso da quello spagnolo, sappiamo che, soprattutto nei momenti di crisi sistemica, anche nei paesi a capitalismo avanzato vengono utilizzate la repressione e la violenza come estrema ratio nei confronti di chi si oppone e tenta di costruire un mondo diverso. I prigionieri politici sono solo i casi più emblematici, basta vedere la criminalizzazione che tocca la Val di Susa, quella che ritroviamo contro le lotte sindacali nei siti logistici, per quelle contro l’occupazione militare, nelle città sempre più invivibili o negli stessi istituti carcerari.

In quest’ottica più ampia, e riprendendo le parole di Loïc Wacquant, che sul rapporto tra neoliberismo e criminalizzazione del dissenso e della povertà ha lavorato estensivamente, «l’attivazione della lotta al crimine non è stata altro che pretesto e trampolino di lancio per una più vasta ristrutturazione del perimetro e delle funzioni dello stato, che ha comportato in modo simultaneo e convergente il restringimento (downsizing) della sua componente welfarista e l’accrescimento (upsizing) delle sue funzioni poliziesche, giurisdizionali, penitenziarie».

Per questo la solidarietà e l’organizzazione diventano ancora più importanti quando si deve fronteggiare uno stato che utilizza dispositivi formalmente legittimi per poter reprimere le forme di dissenso. E, come già proposto in un articolo apparso su Jacobin Italia, la pandemia ci permette di tracciare una linea di connessione tra istituzioni totali che hanno diversi gradi di legittimazione – in primis, carceri e Cpr – ma che non sono chiaramente in grado di garantire la tutela dei diritti basilari e i cui valori legittimanti devono essere messi in discussione.

*Johanna Fauteck e Michele Losindaco, militanti del Csa Baraonda di Segrate e della Piattaforma Pablo Hasèl Libero; Cecilia Galimberti e Matteo Cimbal, militanti del Collettivo Kasciavìt a Milano e della Piattaforma Pablo Hasèl Libero.

Sorgente: Piattaforme in rete contro la repressione – Jacobin Italia

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