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«E adesso?». È questa la domanda che si rincorre nelle chat nel tentativo di prevedere, assieme al destino del Movimento 5 Stelle, il futuro dei deputati e senatori pentastellati entrati festanti in Parlamento tre anni orsono. Una vita politica fa. Quando i consensi erano oltre il 32% e M5s il primo partito

di Barbara Fiammeri

3′ di lettura

«E adesso?» È questa la domanda che si rincorre nelle chat nel tentativo di prevedere, assieme al destino del Movimento 5 Stelle, il futuro di ciascuno dei «cittadini» entrati festanti in Parlamento tre anni orsono. Una vita politica fa. Quando i consensi erano oltre il 32% e M5s il primo partito. Allora a prevalere era il giocabinismo forcaiolo, le parole d’ordine antisistema, le manifestazioni contro il Capo dello Stato . Nessun dubbio su chi fosse il Capo, l’Eletto. Giuseppe Conte era solo un avvocato sconosciuto ai più con la pochette nel taschino quale principale segno di distizione, nel senso letterale del termine.

Una fase si è definitivamente chiusa

Una fase che con la conferenza stampa di Conte al Tempio di Adriano di lunedì 28 giugno si è definitivamente chiusa. Quel Movimento non esiste più. Anche se Conte e Grillo, come è presumibile, faranno pace e l’ex premier diventerà il nuovo Capo politico dei 5 Stelle. Il cambiamento è già avvenuto e lo scontro di queste ore ne è solo la conferma. Il paradosso è che a innescare questo processo è stato proprio il Fondatore, Beppe Grillo. L’avvio è avvenuto ben prima dell’investitura di Conte a leader in pectore il 28 febbraio all’Hotel Forum.

La scelta di Grillo di imporre Conte a Palazzo Chigi

Il giorno clou risale a quando Grillo ha posto come conditio sine qua non la permanenza dell’avvocato del popolo a Palazzo Chigi per l’accordo di governo con il Pd, che darà poi vita al Conte II. È lì che tutto è cambiato. Conte è stato investito dalla luce riflessa dell’Eletto diventandone l’erede naturale. Certo l’ex premier si era conquistato i galloni sul campo, con l’attacco a Matteo Salvini al Senato in diretta televisiva. Ma senza la presidenza del Consiglio, quel j’accuse sarebbe rimasto confinato a un piccolissimo passaggio della storia.

L’illusione del Garante di poter manovrare l’ex premier

Invece Grillo ha ostinatamente voluto che Conte rimanesse a Palazzo Chigi. L’Eletto, come tanti altri leader prima di lui, si illudeva di poter fare e disfare a suo piacimento. Conte era solo uno dei pedoni da muovere sulla scacchiera, come lo era stato Di Maio, che dopo 17 mesi fu costretto ad abbandonare il suo ruolo di Capo politico (coincidenza vuole che le dimissioni le annunciò proprio al Tempio di Adriano…). Non che glielo abbia chiesto Grillo. Ma nulla dentro M5s accade(va) se il Garante non dà(va) il suo placet.

 

La scommessa sull’avvocato

Da allora M5s non ha più un Capo politico ma un reggente, il burocrate Vito Crimi. Non ha più vinto un’elezione e i suoi consensi sencondo tutti i sondaggi sono dimezzati (attorno al 16%). È per questo che Grillo ha puntato su Conte. E l’’intiuizione era giusta. La gestione della pandemia nei primi 6 mesi di Governo giallo-rosso hanno fatto salire la fiducia nell’allora premier oltre il 60%. Per Grillo è stata la conferma che l’unico modo di salvare la sua creatura politica era scommettere sull’avvocato.

L’ascesa del premier con la pochette

Solo che non ha tenuto in considerazione un dettaglio: l’ambizione e la determinazione di Conte. L’ex premier certamente ha potuto far leva su una serie di episodi fortunati: l’ascesa dei Cinquestelle, la conoscenza universitaria con Alfonso Bonafede che lo portò da Grillo, il suo anonimato rassicurante per Salvini e Di Maio, il Papeete del leader della Lega e il Covid, che gli ha messo sul capo l’aureola del salvatore in diretta Tv. Ma tutte queste circostanze non bastano a spiegare l’ascesa del premier con la pochette.

Prendere o lasciare

Adesso non si può più tornare indietro. E questo lo sa Grillo e lo sa Conte. È la ragione per cui l’ex presidente del Consiglio si è presentato in pubblico con quel prendere o lasciare. Quel rinfacciare al Garante di essere un «padre padrone», dicendogli in faccia che è giunta l’ora di farsi da parte. È vero, anche Grillo non era stato tenero la settimana precedente. Ma il comico – che come dice Gianni Morandi non fa più tanto ridere – aveva parlato in un’asseblea di deputati, non davanti ai giornalisti.

Il Movimento è già altro

La scelta di Conte è di quelle che non lasciano vie di fuga. Grillo o accetta il passaggio di consegne lasciando che il premier trasforni il «non-Statuto» in un partito oppure M5s deflagra perché il drappello di parlamentari pronti a seguire l’ex premier è numeroso.C’è chi dice che il Fondatore punterà a un match ai punti. A colpire al corpo senza scoprirsi. Ma a quale fine? Il Movimento è già altro. Anche se non si capisce cosa.

Sorgente: M5S, perché la mossa di Conte lascia Grillo senza scampo – Il Sole 24 ORE

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