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Il Tribunale di Ancona ha stabilito che l’azienda sanitaria delle Marche dovrà verificare le condizioni di un paziente 43enne tetraplegico che aveva richiesto l’accesso al suicidio assistito, per decidere se sussistono i criteri che rendono l’aiuto al suicidio non punibile. Il Tribunale lo ha deciso in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre del 2019 che aveva stabilito che non è sempre punibile chi aiuta una persona a suicidarsi: è la prima volta in Italia in cui un tribunale applica questa sentenza e non esclude a priori la possibilità che una persona faccia ricorso al suicidio assistito.La decisione del Tribunale di Ancona arriva dopo il reclamo proposto da un 43enne marchigiano tetraplegico, immobilizzato da dieci anni per un incidente stradale e in condizioni irreversibili, che nell’agosto del 2020 aveva fatto richiesta per il suicidio assistito alla ASL. La ASL aveva respinto la richiesta, senza attivare le procedure indicate dalla sentenza della Corte Costituzionale, che stabiliva la verifica di alcune condizioni per poter accedere al suicidio assistito: che il paziente sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», che sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e che sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Sorgente: La prima applicazione della sentenza Cappato sul suicidio assistito – Il Post

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