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L’energia che la Terra riceve dal Sole in un’ora basterebbe all’umanità per un anno, ma il fotovoltaico ne converte solo il 20%, mentre con la fotosintesi si arriva al 60-80%. Una ricerca ha trovato il modo di imitarla

(guarda i video cliccando il link in fondo all’articolo)

L’eolico e il solare sono attualmente le uniche due forme di energia pulita che abbiamo a disposizione. Se vogliamo raggiungere gli obbiettivi fissati dall’accordo di Parigi, ovvero mantenere il rialzo di temperatura sotto i 2 gradi, e sarebbe bene fermarsi all’1,5 per evitare di raggiungere il punto di non ritorno, è evidente che dovrebbero diventare quelle di cui ci riforniamo esclusivamente. L’ideale sarebbe quindi anche averne una terza in più.

 

 

Per esempio se potessimo sfruttare la fotosintesi, potremmo raggiungere facilmente gli obbiettivi. Le piante hanno, biologicamente, un enorme vantaggio: sono in grado di convertire l’energia del Sole. Si tratta di un processo chimico grazie al quale i vegetali verdi, ma anche altri organismi come alcuni batteri e perfino un animale, la lumaca di mare, utilizzando l’anidride carbonica, l’acqua e la luce solare producono sostanze organiche e in particolare carboidrati e glucosio.

 

La lumaca di mare in grado di effettuare la fotosintesi

 

La Terra riceve dal Sole in una sola ora una quantità di energia sufficiente a colmare le necessità umane per un intero anno. Se riuscissimo a renderla utilizzabile potremmo raggiungere un punto di svolta.

 

 

Una nuova ricerca ci porta in questa direzione. Yulia Puskar, una biofisica del Purdue’s College of Science è riuscita infatti a trovare il modo di imitare questo processo. Sia le turbine eoliche sia i pannelli fotovoltaici hanno ricadute ambientali e limiti di efficienza, mentre il processo di fotosintesi artificiale, oggetto dello studio, eviterebbe questi problemi. Il fotovoltaico è in grado di convertire solo il 20% dell’energia solare, mentre tramite la fotosintesi si potrebbe arrivare al 60-80%.

 

Stati Uniti: il “miracolo” della fotosintesi al microscopio

 

Gli studi sulla fotosintesi artificiale risalgono agli anni Settanta. Una delle richieste più importanti è quella di ottenere il di-idrogeno. Questo finora è stato possibile solo utilizzando quantità di energia troppo cospicue e metalli preziosi. Per fare in modo che diventi un metodo alla portata di tutti è stato necessario sviluppare un processo veloce che utilizzasse un catalizzatore di ossidazione poco costoso e durevole.

 

 

Il sistema con il quale la nuova fotosintesi artificiale rompe la molecola dell’acqua, dalla quale l’idrogeno proviene, è molto efficiente. Nelle piante sono presenti due fotosistemi, il fotosistema I e II. Sono complessi molecolari che si trovano nella membrana dei tilacoidi, le vescicole membranose che contengono la clorofilla e altri pigmenti, proteine, enzimi e metalli. È il fotosistema II però che provoca l’ossidazione dell’acqua liberando l’atomo di idrogeno. Ed è così rapido da riuscire a farlo mille volte per secondo.

Nell’esperimento effettuato alla Purdue sono stati utilizzati diversi catalizzatori sintetici scelti tra quelli più abbondanti sul Pianeta, accessibili e non tossici. In particolare è stato impiegato un ossido di cobalto, molto simile a quello attivo in natura. Sono state dunque costruite foglie artificiali che si sono rivelate in grado di produrre idrogeno. Questo può poi essere utilizzato come combustibile per le pile a combustione, che lo convertono in elettricità, o usato come additivo al gas, o impiegato nelle batterie a idrogeno che servono ad alimentare dalle automobili ad apparecchiature ospedaliere, a molti oggetti di uso quotidiano. 

 

 

Gli scienziati avanzano una ipotesi: tra 10-15 anni un sistema commerciale di fotosintesi artificiale potrebbe essere disponibile. Sperando che non sia troppo tardi.

Sorgente: La fotosintesi artificiale non è più un’utopia – la Repubblica

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