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Il tribunale critica la pubblica accusa. Troppo allusive le prove, troppo forzati i ragionamenti sulle responsabilità di Eni e Shell. Ecco perché gli imputati sono stati assolti. Qualcosa però resta: il tracciamento delle transazioni verso la Nigeria lascia supporre operazioni sospette. Ma chi può indagare è la magistratura nigeriana. Mentre in Italia scoppia il caso Amara-Armanna

A tre mesi dall’assoluzione di tutti gli imputati, il processo che si è celebrato a Milano con Eni e Shell accusate insieme ai loro vertici di corruzione internazionale per l’acquisizione della licenza petrolifera Opl 245 in Nigeria continua a fare notizia. Il 9 giugno la settima sezione del tribunale ha reso pubbliche le motivazioni della sua decisione.

In sostanza, l’ipotesi di reato è confusa, vaga e non condivisibile in punto di diritto, secondo il collegio formato da Marco Tremolada, Mauro Gallina Alberto Carboni.

Secondo i giudici, infatti, la pubblica accusa ha preteso che, data la corruzione «ai massimi livelli» di cui trattava l’indagine, si abbassassero «le pretese nella valutazione della prova indiziaria». Confidavano, insomma, che i giudicI derogassero al principio per cui la colpevolezza si prova solo «oltre ogni ragionevole dubbio». Fuori dalle formalità del gergo giuridico, questo equivale a dire che le ipotesi di reato, così come sono costruite, non stanno in piedi.

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L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi – Foto: Eni (via Flickr)

Processo Eni Nigeria, cosa è successo dopo la sentenza di assoluzione

I pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati iscritti al registro degli indagati dalla procura di Brescia perché avrebbero cercato di ostacolare l’acquisizione di alcune prove che avrebbero aiutato a comprendere l’inattendibilità del loro imputato-accusatore, Vincenzo Armanna.

A segnalare il possibile reato è stato l’altro pm di Milano Paolo Storari, impegnato in un procedimento parallelo a quello di Opl 245: quello sul presunto complotto per sfilare a De Pasquale e Spadaro il processo allo scopo di ottenere un’archiviazione per le compagnie petrolifere.

L’avvocato Amara e l’ex manager di Eni in Nigeria, Vincenzo Armanna

Oltre alla vicenda strettamente della licenza esplorativa del pozzo petrolifero, ci sono altri fronti politico-giudiziari che al momento sono più caldi. A Milano ci sono gli scontri tra correnti di magistrati e tra magistrati e giudici.

A livello nazionale ci sono le parole dell’avvocato Piero Amara, per diversi anni consulente legale di Eni che si trova al centro di una rete sempre più fitta di sentenze “pilotate” e depistaggi a cui avrebbe partecipato anche Vincenzo Armanna. Ex manager di Eni in Nigeria, quest’ultimo è stato al contempo imputato e grande accusatore nel processo. È stato assolto anche lui.

Amara in diverse occasioni, come appare proprio per appalti in Nigeria, è stato socio di Armanna. Il tribunale ha deciso di non ascoltarlo in udienza perché già indagato in altro procedimento. Il giorno prima che fossero pubblicate le motivazioni, peraltro, l’avvocato Piero Amara è stato arrestato su mandato della procura di Potenza.

Il capo d’imputazione è «corruzione in atti giudiziari» a Trani e a Taranto, quando era consulente legale dell’Ilva di Taranto, l’acciaieria i cui vertici, a fine maggio, sono stati condannati in appello per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. In pratica, sia in Puglia, sia a Milano, il compito di Amara sembrerebbe essere stato quello – dicono i pm che lo indagano – di addomesticare processi nei confronti dei suoi clienti. L’inchiesta sul suo sistema è solo all’inizio.

Sorgente: Eni Nigeria: perché il processo per corruzione si è chiuso con l’assoluzione

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