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Il cardinale Pietro Parolin: «Concordo con Draghi, lo Stato italiano è laico. Se il Papa era stato informato? Lo facciamo sempre»

di Massimo Franco

«Mario Draghi non poteva che dire quanto ha detto in Parlamento. Sa che il Vaticano vuole una mediazione, e credo sia la stessa intenzione del governo…». Il messaggio che arriva dai vertici della Santa Sede è di chi ritiene di avere compiuto una mossa obbligata, e di avere ricevuto una risposta. E adesso si prepara a una trattativa lunga e difficile, avendo di fronte non Palazzo Chigi ma un Parlamento percorso da fremiti ideologici che al momento sembrano non dare spazio al dialogo; e soprattutto mostrano uno schieramento che va dal M5S al Pd, aggrappato in apparenza alla bandiera della legge Zan sull’omofobia così com’è, quasi fosse una sorta di confine invalicabile tra progresso e reazione.

L’imbarazzo delle gerarchie ecclesiastiche

L’ostacolo più serio sono «le due tifoserie che si combattono a colpi di ideologia», impedendo qualunque passo avanti. Il primo effetto è che si incrina la collaborazione stretta, perfino la subalternità della Chiesa cattolica allo Stato italiano nei mesi della pandemia. E la paura è che questo faccia riemergere un fronte ostile al Concordato. Il paradosso politico è che a difendere il Vaticano sono Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia: partiti considerati non in sintonia con l’attuale pontificato su temi dirimenti come l’immigrazione, il sovranismo, e il modo di intendere l’identità e i valori cristiani. L’imbarazzo delle gerarchie ecclesiastiche è palpabile. Da leader come Matteo Salvini «ci divide un alfabeto culturale diverso», spiega un alto prelato. Il problema è che il lessico della Santa Sede fatica a fare breccia nell’intero arco politico.

La pressione dei vescovi

Colpisce la mancanza di partiti considerati sponde affidabili. «Al massimo ci sono individui in grado di dare voce alle nostre ragioni», si spiega. «Ma sono troppi e insieme troppo deboli». Trasuda l’irritazione nei riguardi del vertice del Pd, oscillante tra aperture e chiusure: viene ritenuto condizionato dalla componente ex comunista e vittima di una «deriva radicale». Quanto al grillismo, l’atteggiamento è stato sempre di profonda diffidenza: sebbene sia emersa a intermittenza la tentazione di utilizzare esponenti che ricoprono ruoli istituzionali. Ma la questione è drammatizzata dalle divisioni che attraversano lo stesso mondo cattolico. Intorno alla nota ufficiale consegnata il 17 giugno all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani, fioriscono le voci più curiose: indiscrezioni che segnalano confusione e tensioni nelle gerarchie ecclesiastiche. Ma il fatto che sia stata la Santa Sede a compiere il passo ribadisce un principio: è il Vaticano come Stato a chiedere il rispetto del Concordato con l’Italia. I vescovi hanno un ruolo diverso: anche se la pressione è arrivata da lì. Il modo in cui ieri il cardinale Pietro Parolin, «primo ministro» di Francesco, ha rivendicato con Vatican News l’iniziativa, conferma la divisione dei compiti con una Cei accusata di eccessiva timidezza.

Il disagio

L’idea di un Papa defilato, quasi neutrale, è goffa e strumentale; e riceve smentite a tutto tondo. «Il principio è che di tutto quello che si fa si informano sempre i superiori», ha detto Parolin. E a ribadire al Messaggero la sintonia sull’iniziativa tra Francesco e il segretario di Stato è anche Giovanbattista Re, decano del Collegio cardinalizio. L’obiettivo primario è disarmare chi parla di ingerenza: si vedrà con quale esito. Parolin afferma di concordare «pienamente con il presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento italiano. Per questo si è scelto lo strumento della Nota verbale, che è il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali». Aggiunge che si trattava di «un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica». Sono toni difensivi che tradiscono un disagio. Cercano di giustificare una mossa che, sebbene definita un «mezzo proprio», rimarca l’assenza di dialogo tra le due sponde del Tevere e la preoccupazione per il testo del deputato del Pd, Alessandro Zan, in discussione in Parlamento.

Il timore per la magistratura

Difensivo è anche il modo in cui Parolin assicura di non voler chiedere «in alcun modo di bloccare la legge»; e di essere «contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale». Il tema, semmai, è come la legge può essere interpretata, con il rischio di «spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è». Traduzione: il Vaticano teme che la magistratura possa usare la legge contro i sacerdoti, e «rendere punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna». Per questo si chiede che venga cambiata in alcuni punti «prima che sia troppo tardi» e si imputi alla Santa Sede «un colpevole silenzio». Da chi? Evidentemente, dall’interno dello stesso mondo cattolico. La parolina magica è «modulazione». Ma trasferirla in un testo che radicalizza e agita il Parlamento non sarà facile: a meno che alla fine il governo o qualcun altro, con gradualità e cautela, abbandoni la sua «terzietà» e offra un consiglio per uscire da una situazione al momento senza sbocchi.

Sorgente: Ddl Zan, il Vaticano non trova sponde. E spera che (alla fine) il governo possa mediare- Corriere.it

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