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Il leader della Lega polemizza con Fedez, poi lo invita a bere un caffè. Fa censura preventiva e poi ironizza sulla Rai, sempre con i tempi sbagliati

by Fabio Luppino

I tempi in politica sono importanti. Salvini da un po’ li sta sbagliando proprio tutti. Come un cantante che stecca alla prima, un calciatore che salta fuori tempo, uno sciatore che inforca una porta.

Non conoscendo l’arte dell’assenza ieri ha cercato a tutti i costi di occupare la scena social. Prima dichiarando a più riprese che sbarchi di migranti basta, “io scrivo a Draghi”. Poi, nel bel mezzo del pomeriggio, schierando a testuggine i leghisti della commissione di Vigilanza Rai e poi mettendoci del suo per andare ad un frontale con Fedez, nel giorno del concertone del primo maggio. Su quel che poteva o non poteva dire il cantante, niente cose di sinistra, per favore (come se parlare del ddl Zan fosse una cosa di sinistra). Infine, dopo l’esibizione di Fedez, rovesciando l’ordine dei fattori, sentendosi lui vittima della cultura dominante, chiedendo rispetto per chi crede nella famiglia, rivendicando, “il diritto alla vita ed all’amore sono sacri, non si discutono” “Per me anche il diritto di un bimbo a nascere da una mamma e un papà è sacro, mentre il solo pensiero dell’utero in affitto e della donna pensata come oggetto mi fanno rabbrividire. Così come, da padre, non condivido che a bimbi di 6 anni venga proposta in classe l’ideologia gender, o si vietino giochi, canti e favole perché offenderebbero qualcuno. Non scherziamo. Viva la Libertà, che non può imporre per legge di zittire o processare chi crede che la famiglia”), come se parlare del ddl Zan mettesse a rischio tutto questo e come se nulla fosse accaduto, invitando Fedez a bere un caffè, tranquilli, “per parlare di libertà e diritti”: “Adoro la Libertà. Adoro la musica, l’arte, il sorriso. Adoro e difendo la libertà di pensare, di scrivere, di parlare, di amare – ha scritto Salvini su Fb dopo l’esibizione di Fedez-. Ognuno può amare chi vuole, come vuole, quanto vuole. E chi discrimina o aggredisce va punito, come previsto dalla legge. È già così, per fortuna. Chi aggredisce un omosessuale o un eterosessuale, un bianco o un nero, un cristiano o un buddhista, un giovane o un anziano, rischia fino a 16 anni di carcere. È già così”. Come se non fosse successo niente.

Infine, non pago, davanti alle accuse di Fedez contro i vertici Rai di essere stato censurato, ha chiosato, sempre Salvini con, “un cantante di sinistra litiga coi
vertici Rai di sinistra. Così è. L’Italia se ne farà una ragione”.

Una situazione grottesca di un leader in eterna campagna elettorale, al governo e all’opposizione, con Draghi e anche contro, con il Recovery e l’Europa, ma alla nostra maniera. Con Figliuolo che sta vaccinando l’Italia, ma stiamo a vedere. Arroccato nella sua fortezza Bastiani da cui ogni tanto tira un colpo, ma davanti, ormai, non c’è più nessuno. Se il ddl Zan serva o non serva a questo Paese per prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità lo stabilirà il Parlamento, non la morale di Salvini. Quando poi si prende la china di quello che si può dire o non dire in un programma Rai, si prende una china pericolosa. Salvini non è nuovo a questo tipo di scomuniche (Berlusconi docet). Sarebbe bene che il leader leghista ricordasse come la Rai in qualche modo abbia nella sua storia, che è patrimonio del Paese e anche di Salvini, anticipato lo spirito del tempo. Trasmetteva (anche se c’è voluto del tempo) Dario Fo e Franca Rame quando la violenza sessuale era un reato contro la morale (e non contro la persona); ha ospitato inchieste e trasmissioni irriverenti con la chiesa e la morale corrente quando il conformismo cattolico era ridondante. Ha fatto cultura e informazione con eccellenze quali Sergio Zavoli, Furio Colombo, Umberto Eco, Enzo Biagi, ha avuto (e ha) giornalisti per cui è sempre stato ben chiaro quale fosse l’essenza del servizio pubblico, da Mario Pastore a Italo Moretti, da Bruno Vespa a Paolo Frajese (e moltissimi altri), al di là di quali fossero le loro convinzioni politiche.

La Rai ha rotto schemi con Benigni a Sanremo, con L’Altra domenica, con decine di trasmissioni radiofoniche libere veramente e ha raccontato l’Italia, e la racconta ancora, con Tv7, la Notte della Repubblica, Mixer, e oggi con Report, Presa diretta e tanti altri prodotti di valore che non avrebbero mai visto la luce se la produzione avesse dovuto seguire solo la politica del tempo (finanche il maestro Manzi ha forzato la mano). E nello stesso tempo ha tenuto in gran conto la cultura prevalente, con programmi di approfondimento religioso, la messa la domenica e nessuno ha mai osato dire se fossero di destra o di sinistra: ognuno vede quello che vuole, di destra, di sinistra o di centro.

Le etichette le ha sempre messe e le mette, come ha fatto Salvini ieri, la politica. Per fini politici, nemmeno tanto reconditi. Ma quel che è giusto o non è non può dipendere dalle alterne fortune di un leader ormai avvitato su se stesso, che per arroganza e ingordigia (aveva avuto tutto ma voleva di più, i pieni poteri) è riuscito a farsi cacciare da un governo in cui era padrone e l’Italia lo ringrazia perché non ha dovuto soggiacere alle sue esigenze ondivaghe nell’anno più difficile della storia italiana dal dopoguerra, quello della pandemia. Ora sta al governo e pretende di dettare l’agenda con colpi sempre più sordi. Sul ddl Zan una maggioranza in Parlamento c’è (ieri a difesa di Fedez è sceso il forzista Elio Vito). Salvini (e tutti coloro che hanno legittimi dubbi, e ce ne sono molti) ha diritto a dire no, naturalmente. Si trovi una maggioranza diversa e vinca il migliore in Parlamento. E’ il bello della democrazia.

Sorgente: Salvini, Capitan Stecca | L’HuffPost

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