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Nonostante le 650mila famiglie in lista per un alloggio pubblico, il governo punta sull’edilizia privata sociale. Quella dedicata alla “zona grigia” degli inquilini, cioè chi è troppo benestante per le case popolari ma non abbastanza per il mercato privato. I criteri di reddito spesso escludono chi è davvero in situazioni di disagio abitativo: in Lombardia, possono entrare nei quartieri di housing sociale nuclei con Isee fino a 96mila euro. Il settore è effervescente, soprattutto a Milano

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Il piano casa del governo Draghi? Zero case popolari, tanto housing sociale e alcuni interventi a favore della marginalità, dai diversamente abili fino a misure per contrastare le “baraccopoli” figlie del caporalato in agricoltura. I progetti che dovrebbero ridurre il disagio abitativo in Italia emergono dagli allegati al Piano nazionale di ripresa e resilienza: per aumentare il patrimonio residenziale a favore delle famiglie meno abbienti ci sono due diverse voci da 1,4 miliardi di euro (100 milioni dal 2022 a salire fino a 500 nel 2026) che andranno a finanziare interventi dentro al “Programma per la qualità dell’abitare”. Tradotto? “Riqualificazione e aumento degli alloggi sociali, miglioramento dell’accessibilità, mitigazione della carenza abitativa, welfare urbano”, si legge nel piano. Il fatto è che gli “alloggi sociali” sono qualcosa di radicalmente diverso dalle case popolari, pure più volte citate dal premier Mario Draghi nei suoi discorsi di presentazione del Recovery Plan alle Camere. Si tratta di edilizia privata sociale. Un sistema che stando al Piano nazionale messo a punto da Cassa depositi e prestiti nel 2009 avrebbe dovuto consentire di realizzare 20mila alloggi attirando compartecipazioni di spesa dal settore privato. Oggi sono solo 9mila a fronte di 650mila richieste inevase per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. E i criteri di reddito per accedervi spesso escludono le persone più difficoltà. Basti dire che in Lombardia possono entrare nei quartieri di housing sociale persone o famiglie con Isee fino a 96mila euro annui.

Il disagio in Italia: 50mila sfratti, 220mila pignoramenti, 100mila case popolari vuote – A febbraio il Forum Diseguaglianze e Diversità, cercando di orientare l’impianto del Recovery, ha prodotto il documento “Una casa dignitosa, sicura e socievole per tutti. Una missione strategica attivata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. Curato fra gli altri da urbanista dell’Università La Sapienza di Roma e dal presidente di Federcasa – la Federazione degli enti gestori di case popolari –, il toscano Luca Talluri. Cosa dice? Che le case popolari in Italia sono 805mila ma altre 100mila potrebbero essere rimesse in uso con un piano di investimenti. La domanda invece? 650mila richieste inevase per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. A tanto ammonta il numero di famiglie in attesa nelle graduatorie dei Comuni. E ancora: 50mila nuove sentenze di sfratto ogni anno che sono andate aumentando del 57% in 10 anni. Oltre a 100mila richieste di esecuzione sfratto ogni anno e il gigantesco, quanto non trattato, problema delle esecuzioni immobiliari e dei pignoramenti, con una media negli ultimi cinque anni di 220mila lotti che finiscono in asta, al 70% sul settore residenziale.

Housing sociale: la creatura Cdp-Cariplo – Basteranno i soldi e le misure previsti per far fronte a questo disagio abitativo? Per rispondere occorre capire che cos’è l’housing sociale su cui il governo ha scommesso nella missione 5 del Piano, quella dedicata a Inclusione e coesione, che comprende anche interventi di “Rigenerazione urbana” per il riutilizzo di aree pubbliche e il miglioramento dell’arredo urbano e del tessuto sociale e ambientale – a oggi non meglio dettagliati – in alcune grandi aree metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Messina, Cagliari, Palermo). Parliamo di edilizia privata sociale finanziata tra il 60 e l’80% da Cassa Depositi e Prestiti attraverso un sistema di fondi immobiliari locali per l’abitare. Nasce come idea in seno alla Fondazione Cariplo nei primi Duemila, come strumento per rispondere alla crisi del ceto medio impoverito. La platea che dovrebbe servire? In gergo si definisce “zona grigia” degli inquilini: chi è troppo benestante per le case popolari ma non abbastanza per il mercato immobiliare privato delle città. La leggenda vuole che ad innamorarsi dell’housing sociale sia stato direttamente Giuseppe Guzzetti, lo storico e potente capo delle fondazioni bancarie in Italia (oggi 87enne) che per portare avanti il suo disegno partendo da Milano, in Cariplo chiamò dal mondo della finanza londinese Sergio Urbani, attuale Direttore Generale della Fondazione bancaria azionista di Intesa Sanpaolo. Il quale, appena insediato in Cariplo, sulla sua scrivania trova e studia un dossier firmato dall’attuale assessore alla Casa del Comune di Milano, Gabriele Rabaiotti, all’epoca giovane ricercatore del Politecnico di Milano.

Da Cariplo il progetto approda in Cassa Depositi e Prestiti. Che inizia a strutturare nel 2009 un piano nazionale dell’housing sociale. Obiettivo? Realizzare 20mila alloggi in 20 anni con 2,2 miliardi di euro. Che, a leva, avrebbero attirato compartecipazioni di spesa dal settore privato. Il piano non decolla mai. Anche perché la crisi dei mutui si abbatte in quegli anni sul settore bancario e immobiliare e lo stesso Guzzetti nel tempo si defila dal suo ruolo di dominus. Quando nascevano i primi fondi immobiliari si racconta che bastasse una sua telefonata per trovare realtà come Pirelli o Telecom pronte a mettere 10-20 milioni di euro sul piatto per un fondo dedicato all’edilizia privata sociale. Oggi? Sono 9mila gli appartamenti in housing sociale in tutta Italia, per un canone d’affitto medio di 500 euro al mese più spese, mentre altri vengono venduti a prezzi convenzionati o affittati per i primi 8 anni e poi ceduti con patti di futura vendita.

A far fallire, almeno dal punto di vista sociale, la “visione” iniziale della strategia abitativa ci si mettono anche le Regioni: i criteri di reddito per accedervi attraverso una serie di graduatorie gestite privatamente vengono innalzati nel tempo. E oggi, in Lombardia, possono entrare nei quartieri di housing sociale persone o famiglie con Isee fino a 96mila euro annui. Chi entra in affitto deve avere redditi che superano di almeno tre volte il canone di locazione. Persone quindi perfettamente “solvibili” anche su un ricco mercato immobiliare come la piazza di Milano. Mentre invece non può entrare chi ha subito per esempio uno sfratto. Per citare un altro esempio a Perugia è stato aperto di recente un bando per i primi 67 appartamenti (su 171) realizzati all’Ex Tabacchificio. Per accedervi? Si legge che “la capacità economica del nucleo familiare viene valutata sulla base del “reddito convenzionale” che non deve essere superiore a 60mila euro né inferiore.

Tutti pazzi per il social housing all’italiana – Il settore però è effervescente. Ai numeri, da oltre 10 anni deludenti, fa da contraltare un’importante campagna di marketing e comunicazione. Che batte su quanto sia innovativo creare quartieri in periferia in elevati classi energetiche in chiave di riconversione ambientale e che, nella città contemporanea, sono abitati dal cosiddetto “mix sociale” o “mixitè”: una sorta di melting pot fra autoctoni e stranieri, benestanti e meno, giovani e anziani, diversamente abili che lavorano nelle realtà di vicinato del quartiere stesso. Solo per fare gli esempi più recenti: all’housing sociale sono destinate importante porzioni delle aree da riqualificare nell’ambito di Reinventing Cities, il bando internazionale promosso dal Comune di Milano e la rete delle grandi città nel mondo “C40” che ha messo a gara aree nei quartieri di Crescenzago, Bovisa, all’Ex Macello di Milano, lo scalo di Lambrate. Sempre in edilizia convenzionata andranno edificate alcune porzioni degli scali ferroviari dismessi che Ferrovie dello Stato ha venduto ai privati. A Milano negli anni sono nati quartieri che hanno cambiato anche la toponomastica della città: da “Figino Borgo Sostenibile” a “Cenni di Cambiamento” (via Cenni) passando per “Moneta Milano” in via Moneta, il “Cascina Merlata Social Village” accanto ad Expo fino a “Redo Merezzate” nel quartiere di Rogoredo-Santa Giulia, che nel 2026 ospiterà le Olimpiadi invernali. Dove alcuni degli abitanti raccontato di aver comprato per investimento, non per necessità, contando su un rialzo dei prezzi grazie alla manifestazione a cinque cerchi.

Ecco gli uomini dell’housing sociale – Chi sono gli uomini e le donne che devono portare avanti il disegno sull’housing sociale in Italia? Tutti volti riconducibili al mondo di Cdp e Redo sgr, la società benefit emanazione di Cariplo e Intesa Sanpaolo che ha in mano, da quasi monopolista, la partita: da Paola Delmonte, ex Cariplo, poi Cdp e oggi in Redo, vera e propria pasionaria dell’housing sociale e studiosa della materia, a Giordana Ferri presidente della Fondazione Housing Sociale (emanazione di Cariplo) fino all’avvocato Carlo Cerami, presidente di Redo e storico amministrativista di Milano legato al centrosinistra e attualmente consigliere di amministrazione di Cdp. In via Goito è entrata invece nel 2021 come responsabile dei Fondi FIA (Fondi Investimento per l’Abitare) Francesca Maria Silva. Ingegnere, milanese-genovese di nascita, Maria Silva è un’esperta di smart cities e rigenerazione urbana. In passato legata umanamente all’ex ministra della Difesa, Roberta Pinotti (che ne è la madrina), tanto da essere nominata durante il suo dicastero alla presidenza di Difesa Servizi, la società della difesa che gestisce beni immobiliari e servizi, prima di andarsene al termine dell’incarico.

Sorgente: Nel Recovery zero case popolari: 2,8 miliardi vanno all’housing sociale. Che piace alle fondazioni ma in 12 anni ha creato solo 9mila alloggi – Il Fatto Quotidiano

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