Vengono al pettine più in generale i nodi di un lunghissimo periodo storico che ha visto i governi in carica, tutti di destra o centrodestra, fare del loro peggio per svendere le ingenti risorse del Paese alle multinazionali e reprimere selvaggiamente ogni tentativo di organizzazione delle classi popolari, sempre più ampie e sempre più escluse. Un Paese sul quale raramente, e neanche in queste tremende giornata di massacri, si sono indirizzati i riflettori della stampa e dei mezzi di comunicazione in genere, specie in Paesi come il nostro, il che può essere spiegato in buona parte col fatto che si tratta della “pietra angolare” della politica statunitense nella regione, per riprendere le parole usate dal giornalista di Repubblica che proprio lunedì scorso ha intervistato la ministra colombiana degli Esteri Claudia Blum.
Le vittime della violenza dell’Esmad (squadra mobile antidisordini) si contano finora nell’ordine di una trentina, e 129 sono i feriti accertati, mentre sono 89 i desaparecidos, 10 i casi di stupro. Da tempo del resto in Colombia è in corso una mattanza dei leader sociali, che si è fortemente intensificata negli ultimi anni da quando è al potere Ivan Duque, il delfino di Uribe, vero dominus della scena politica colombiana da almeno dodici anni ad oggi.