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di Concita De Gregorio

Fedez ha ragione. Se la domanda semplice è questa la risposta semplice è sì: ha ragione su tutta la linea. L’anomalia non è che un cantante dica quel che la politica non dice. L’anomalia è la politica, incapace di fare quel che fa Fedez. Sull’omofobia, sullo ius soli, sulla cannabis legale, sui diritti civili e della persona. Sulla modernità, che è rispetto delle diversità tutto attorno realtà evidenti. Chiedete ai ragazzini, stateli a sentire almeno una volta come sempre dite di fare. Chiedete ai ragazzi cosa è “normale” e cosa è “diverso” per loro, perché fra qualche anno saranno per magia e all’improvviso adulti. Sceglieranno, voteranno. L’anomalia è un paese in cui la sinistra, per molti anni al governo (da Prodi a Conte, se vogliamo essere di manica larga sul finale) non ha saputo né voluto scrivere leggi che la qualificassero per quello che dice di essere. Sinistra, appunto. Così condannandosi a battaglie apparenti e di convenienza, un occhio sempre al centro, ai sondaggi, alle intenzioni di voto. Perdendo, di seguito, regolarmente, fino a che l’emergenza sanitaria (ed economica, certo) non è diventata il primo alleato e non c’è stato bisogno di andare al voto per andare al governo.

L’anomalia è che la sinistra sia al governo con la Lega – una necessità, sì. Una buona notizia questa Lega europeista, figurarsi se non ci si crede. Anzi: un capolavoro politico, in archivio gli editoriali – e che la Lega di governo sia il partito che esprime chi dice “un figlio gay lo brucerei al forno”. Difficile, la convivenza a palazzo Chigi, consigli dei ministri complicati: come non capirlo. E d’altra parte la Rai è espressione diretta di questo condominio Frankenstein, la Commissione di Vigilanza che supervede è un organo politico: l’editore, in Rai, è chi governa in quel momento. Quindi certo che non puoi dire su una rete Rai che un leghista brucerebbe un omosessuale perché quello – la Lega – è il tuo editore: minaccia preventivamente di togliere i fondi al concerto se ti azzardi, perché i soldi sono i suoi. I nostri, sì: ma i suoi nel momento in cui al governo ci rappresenta.

Dunque, tornando a Fedez. Dice una cosa giusta che tutti sanno: la Rai è terrorizzata dal dispiacere il suo editore, è questione di vita o di morte (di conferma, di cancellazione del programma). L’autocensura prevale ormai sulla censura: non c’è nemmeno bisogno, spesso, che qualcuno ti dica cosa conviene fare. Chi ci lavora lo sa da sé. È il Sistema, appunto. Quello di cui si parla nella telefonata che a quest’ora avrà raggiunto qualche milione di visualizzazioni. Bene. Il Re è nudo. Lo sapevano tutti anche prima ma ora Fedez, una superstar conosciuta nel mondo non solo ma anche in virtù della popolarità di sua moglie (non si offenderà, spero. È bello che per una volta sia ambiguo persino l’abituale ordine naturale delle cose), ora che Fedez lo ha detto chiaro.

“Posso fare cose che per me sono opportune anche se per voi sono inopportune?”. La domanda sulla censura apre campi sconfinati. Non viviamo in una dittatura, la parola è libera. Il palco del Primo Maggio, per giunta, è per tradizione il luogo dove la parola è più libera che mai: non è ancora la rivoluzione ma non è neppure una cena di gala del Rotary. Da sempre gli artisti si sono espressi, fra una canzone e l’altra, e meno male. Quindi cade l’obiezione: eri a casa d’altri, dovevi rispettare le regole. Quella è casa di tutti, è la tv pubblica. Quali sono le regole? Chiariamolo una buona volta. Dipende dalla piattaforma, dipende dal contesto – sento dire. Certo. Ma – prendo in prestito le parole di Ricky Gervais, comico britannico vincitore di sette Bafta, due Emmy, un Golden e parecchio altro: se la disputa è fra la tua opinione e un fatto, non esiste il contesto sbagliato per un fatto. Un fatto è un fatto – una dichiarazione di un politico è un fatto, nel caso di Fedez – e non c’è palco, “contesto”, sbagliato per un fatto. Poi: Fedez ha diffuso il contenuto di una telefonata privata senza che gli interlocutori sapessero che li stava registrando. Sì, ma lo ha fatto solo dopo che gli interlocutori – la Rai – avevano negato di aver operato una censura preventiva sui testi. Hanno mentito, in un pubblico comunicato. La diffusione del video si configura come smentita pubblica di un falso pubblico.

Ora, tornando a Gervais, si potrebbe discutere del politically correct, il fascismo di matrice progressista per cui gli Aristogatti sono fuori dal catalogo Disney perché i gatti siamesi hanno caratteri “caricaturalmente orientali”, e altre idiozie. Walter Siti ha appena scritto un libro illuminante, è breve e si può persino leggere tutto prima di commentarne solo il titolo, che è: Contro l’impegno. In quella che Guia Soncini chiama l’Era della Suscettibilità il nuovo mantra è «chiedi scusa», e così persino Pio e Amedeo, comici foggiani, su Canale 5, hanno fatto il record di ascolti dicendo prima cose “irricevibili” – secondo protocollo – su negri ricchioni ed ebrei e poi chiedendo scusa.

La parola definitiva sul body shaming e altre definizioni inglesi per dire quel che non sta bene dire l’ha scritta Checco Zalone, Luca Medici, col geniale video “La vacinada”, co-starring Helen Mirren, e fate silenzio. Sul perché siano i comici (e i cantanti, e gli influencer) a dire quel che nessun altro riesce a dire si dovrebbe scrivere la pagina più triste di questa storia. Consola ripetersi che è sempre stato così: dall’antica Roma. Preoccupa pensare ad altri comici che nel passato recente hanno iniziato col vaffanculo al potere e hanno finito come hanno finito. Di più la sinistra stenta a dire, pretendendo logiche conseguenze, poiché Di Maio è ministro degli Esteri e il partito del comico partito al governo. C’è la pandemia. C’è il Recovery. Ok. Si può forse concludere che i comici al potere diventano comici di governo, e di Sistema. Oppure che ciascuno è quello che è, e lo era da prima solo che non si era capito bene. O anche che fare battaglie che conducono al proprio tornaconto non è esattamente rivoluzionario.

L’estremismo di maggioranza punta al consenso, quello di minoranza ti taglia fuori: dove piove e fa freddo, ma almeno sei libero di dire. Fedez ha dalla sua il consenso, in partenza, ed è un fatto notevole che lo metta al servizio di una battaglia di civiltà. Non ha niente da temere, non deve essere rieletto, canta. La popolarità è più forte dell’opportunità, della convenienza. Il consenso vince, si sa. Ma il fatto è che il consenso si genera quando le tue ragioni sono autentiche, irriguardose, potenti. Il consenso si suscita, questo fanno i leader. Non si insegue. Una politica che ha paura di dispiacere i suoi elettori, e li insegue sulla base dei sondaggi, non va da nessuna parte. Un’informazione piegata al potere è sconfitta per definizione.

La legge Zan, con tutti i suoi limiti, è un passo verso il mondo com’è. Che lo dica Fedez, che arriva dove la sinistra politica non arriva – ai ragazzi, a tutti là fuori – è una cosa bella e triste. Molto bella, e grazie. Molto triste, che peccato.

Sorgente: Da gay e ius soli alla cannabis, artisti all’attacco più dei politici | Rep

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