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I giurati di Minneapolis raggiungono l’unanimità: Chauvin ritenuto responsabile di tutti e tre i capi di imputazione, ora rischia fino a 40 anni di carcere. Il video del suo ginocchio premuto per nove minuti sul collo dell’afroamericano aveva riaperto le ferite in America delle violenze della polizia contro i neri. L’applauso della folla in piazza

di Federico Rampini

 

New York – “Colpevole. Colpevole. Colpevole”. Per tre volte, per tre capi d’imputazione, la giuria popolare nel tribunale di Minneapolis ha raggiunto la stessa conclusione unanime. George Floyd non potrà tornare in vita, ma la prima reazione è quasi unanime: giustizia è fatta.

 

 

L’agente di polizia Derek Chauvin, bianco, è stato riconosciuto colpevole di tutti e tre i reati per i quali la pubblica accusa lo aveva incriminato. I reati in questione – tradotti per quanto possibile nel codice penale italiano – vanno dall’omicidio preterintenzionale all’omicidio colposo. Significa che l’agente di polizia rischia fino a 40 anni di carcere. Una rarità rispetto alla – poco edificante – tradizione della giustizia americana.

Giustizia è fatta, questa è una vittoria che va ascritta al movimento Black Lives Matter. Senza quella pressione di massa, difficilmente la procura di Minneapolis si sarebbe mostrata così severa nelle indagini e poi nell’istruttoria. I dodici giurati, per metà di colore, hanno vissuto anche loro in un’atmosfera carica di sgomento, risentimento, volontà di giustizia.

La prima reazione della piazza, a Minneapolis, è stata un grido: non di trionfo ma di sollievo. Non si può immaginare cosa sarebbe successo in caso di una condanna per il più lieve dei reati, o addirittura un’assoluzione. Il peggio è scongiurato.

 

 

Il processo Floyd che ha tenuto gli Stati Uniti con il fiato sospeso

Dopo due settimane di processo e 11 giorni di interrogatori dei testimoni, l’America intera ha seguito con il fiato sospeso la lettura del verdetto della giuria popolare al processo a Chauvin. La nazione intera aveva rivisto decine di volte le terribili immagini della morte ripresa su un cellulare: nove minuti di sofferenza atroce dell’afroamericano steso sull’asfalto, con il ginocchio dell’agente bianco premuto sul collo.

 

 

I dodici giurati, il giudice, l’America intera sapevano che all’esito di questo processo è appesa una fragilissima pace sociale. L’anno scorso il Paese fu devastato dalle proteste dopo l’uccisione di Floyd. E nei giorni scorsi altri episodi tragici, altri afroamericani uccisi da forze di polizia, hanno ulteriormente caricato di tensione l’atmosfera attorno al processo-chiave. È raro che un agente di polizia finisca davanti alla giustizia per aver provocato un decesso mentre esercitava le sue funzioni. È raro che venga condannato in modo esemplare.

Il video della morte di Floyd che ha riaperto le ferite dell’America

Floyd aveva 46 anni, era stato fermato il 25 maggio 2020 a Minneapolis da una pattuglia di polizia perché trovato in possesso di una banconota falsa da 20 dollari. È morto a seguito dei gravi maltrattamenti subiti dall’agente di polizia Chauvin, 44 anni.

Il video del ginocchio di Chauvin sul collo di Floyd che, schiacciato in terra, ripeteva “non posso respirare” ha riaperto  la ferita delle violenze della polizia contro i neri che neanche il primo presidente afroamericano, Barack Obama, riuscì a rimarginare. Joe Biden, allora candidato democratico alla Casa Bianca, disse: “È una ferita profonda perché viene dal peccato originale della nostra nazione”, ovvero lo schiavismo.

 

“Stop the pain”, fermate la sofferenza: fu l’appello lanciato da Philonise Floyd, fratello di George, alla Camera dei deputati di Washington. “Io vi chiedo – disse ai parlamentari – cosa vale la vita di un nero? Venti dollari?” Il riferimento era alla banconota che fece scattare il fermo del fratello: “Ho continuato a rivedere quelle immagini, otto minuti che mi sono sembrati lunghi otto ore. Non si tratta così un animale. Questo è il 2020. È ora di dire basta. Tutti quelli che protestano nelle strade ve lo dicono: basta”.

Da allora una rivoluzione culturale, sotto il segno dell’anti-razzismo, sembra soffiare impetuosa negli Stati Uniti. Investe anche il mondo dei media vecchi e nuovi. Fra i segnali immediati arrivò la cancellazione della 33esima stagione di una serie televisiva accusata di apologia dei poliziotti violenti, “Cops”. Ci furono le dimissioni di capiredattori di testate importanti, dal direttore delle pagine dei commenti del New York Times ad altri nel Wall Street Journal e Philadelphia Inquirer, in seguito a contestazioni delle loro redazioni sul taglio scelto per le cronache o i commenti sulla questione razziale e sulle manifestazioni di protesta.

L’effetto domino delle proteste di Black Lives Matter

Ci fu anche l’effetto-domino domino di violente proteste urbane, che le autorità locali del Minnesota e federali di Washington non riuscirono a fermare nonostante una raffica di decisioni: l’agente Chauvin venne rapidamente incriminato, tre suoi colleghi furono sospesi e aspramente condannati dai capi dei dipartimenti di polizia, il ministro della Giustizia di allora, William Barr lanciò un’inchiesta federale e lo stesso presidente Donald Trump definì l’uccisione di Floyd “una cosa  terribile”.

Nella terribile estate del 2020 più di venti città finiscono sotto coprifuoco, una situazione che si era verificata solo nel 1968 dopo l’assassinio di Martin Luther King. Bruciano alcuni quartieri di Los Angeles, si spara a Detroit e Indianapolis, auto della polizia vengono incendiate a Chicago, scene di saccheggio e razzìe si vedono nel centro di New York. Un’America che in quel momento è stremata da oltre centomila vittime del coronavirus, e tocca il massimo di 40 milioni di disoccupati, assiste sgomenta a quel terzo fronte di crisi. Nella protesta s’infiltrano provocatori, gang violente, professionisti degli scontri di piazza e del furto organizzato.

Sorgente: Processo Floyd, condanna lampo per l’ex agente Chauvin: “Colpevole di omicidio” – la Repubblica

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