
“Per l’importanza che ha la libertà accademica e la mobilità studentesca dei nostri ricercatori non ci si può non occupare del caso di Patrick Zaki, che è in qualche modo anche legato alla tragica vicenda di Giulio Regeni. Le due cose non si sovrappongono ma sono tangenti”. A parlare è Michela Montevecchi, senatrice del Movimento 5 Stelle e vice Presidente della Commissione Istruzione Pubblica e Beni Culturali di Palazzo Madama. Montevecchi è firmataria della mozione sull’applicazione della Convenzione Onu contro la tortura, confluito in un unico ordine del giorno insieme alla mozione di cittadinanza a Patrick Zaki votato la scorsa settimana in Parlamento, e impegnata in prima linea per la battaglia per la liberazione dello studente egiziano attualmente detenuto nel carcere del Cairo, dopo essere stato arrestato nel 2020, mentre tornava dall’Italia, dove era impegnato in un progetto di ricerca all’Università di Bologna, con l’accusa di terrorismo e diffusione di notizie false tramite social. A Fanpage.it ha fatto il punto della situazione, spiegando cosa è stato deciso in Parlamento e quali sono i prossimi passi da fare per la liberazione di Zaki.
Senatrice Montevecchi, dopo l’approvazione dell’ordine del giorno in Parlamento cosa succede?
“Come sappiamo nell’aula del Senato è stato approvato un ordine del giorno che contiene diversi impegni per il governo. Tra questi, l’attivazione dell’Esecutivo per arrivare eventualmente alla concessione della cittadinanza italiana a Zaki e per l’utilizzo degli strumenti previsti dalla Convenzione Onu contro la tortura, che risale al 1984 e che è stata sottoscritta e già ratificata dall’Italia”.
Di che strumenti si tratta nello specifico?
“Ci si può attivare in base all’articolo 20 o 30 della Convenzione. In particolare, se si decide di attivarsi nel solco dell’articolo 30, sono previste tre fasi per risolvere una controversia tra Stati. Una prima fase è di negoziato. Qualora non ci siano soluzioni, si può procedere con una seconda fase che prevede l’intervento di un giudice esterno, un arbitrato, che emette una sentenza, chiamata lodo. Nel caso lo Stato in questione non osservi la sentenza allora c’è un terzo step, cioè si può fare ricorso unilateralmente alla Corte internazionale di Giustizia”.
Cosa succederebbe nel caso specifico di Italia ed Egitto?
“In questo caso, l’Italia intende aprire una controversia con l’Egitto, dove sono violati i diritti umani. Si chiede di aprire un negoziato con il Cairo. Se alla fine di questa fase si arriva ad una soluzione, la cosa si chiude lì. Se l’Egitto invece si oppone e l’Italia insiste, allora quest’ultima può unilateralmente decidere di portare la questione davanti ad un giudice terzo. Se la situazione continua, l’Italia può arrivare a rivolgersi alla Corte internazionale di Giustizia. Questa è una via di risoluzione pacifica di una controversia perché è procedura che si inserisce nel solco di una convenzione che è stata in tutto o in parte sottoscritta sia da Italia e che da Egitto, quindi si segue solco diplomatico. Non è atto di aggressione. Questa è, come è stato individuato anche da professori ed esperti di diritto internazionale, l’unica via giuridica concreta per intraprendere il percorso pacifico che porti alla risoluzione del caso e alla liberazione di Patrick”.
Lei ha parlato anche di articolo 20 della Convenzione…
“In questo caso viene chiesto ad una commissione, chiamata precisamente comitato prevenzione e tortura, un organismo indipendente di monitoraggio, di attivarsi per verificare la situazione in Egitto”.
Che tempistiche ci sono?
“Le tempistiche non le conosciamo, il Parlamento ha votato l’ordine del giorno secondo il quale il Governo si è impegnato ad utilizzare gli strumenti previsti dalla convenzione. Tocca ora all’Esecutivo decidere quali vie intraprendere”.
È soddisfatta della risposta del governo rispetto a questa vicenda? Mario Draghi nei giorni scorsi non si è espresso sull’ordine di giorno approvato dal Senato…
“Il governo si è impegnato a intraprendere anche la procedura per la cittadinanza. Non mi risulta però che l’abbia già intrapresa e il premier Draghi con le dichiarazioni che ha fatto è sembrato prendere le distanze non solo dal caso di Zaki ma dal Parlamento stesso e dunque non posso essere soddisfatta. Il Governo attraverso una sua rappresentante, la viceministra agli Esteri Sereni, era presente in aula, ha visionato l’ordine del giorno in cui sono confluite le due mozioni, quella del Pd relativa alla cittadinanza e la nostra. Noi come Movimento 5 Stelle ci siamo spinti oltre, non solo chiedendo di valutare gli strumenti della convenzione Onu ma anche di portare il tema del rispetto dei diritti umani al G7 che sarà presieduto dall’Italia, dato anche il panorama internazionale che abbiamo di fronte. Perché non c’è solo il caso Zaki in Egitto ma una situazione diffusa di violazione dei diritti umani all’interno di molti Paesi. Il governo era in aula e ha dato parere positivo all’ordine del giorno assumendo degli impegni. Io ritengo per l’importanza che ha la libertà accademica e la mobilità studentesca dei nostri ricercatori non ci si possa non occupare del caso di Patrick, che è in qualche modo anche legato alla tragica vicenda di Giulio Regeni. Le due cose non si sovrappongono ma sono tangenti”.
Che valore ha per l’Italia riuscire ad aiutare Patrick Zaki ad essere scarcerato?
“Certamente un’apertura dell’Egitto sul caso di Patrick sarebbe un segnale positivo anche per l’inizio della dovuta collaborazione per quanto riguarda la tragica fine di Giulio Regeni. Come ho detto, le due vicende hanno punti di tangenza, ma meritano di essere affrontate e trattate separatamente. La collaborazione, in ogni caso, è dovuta”.
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Sorgente: Patrick Zaki, Montevecchi (M5S): C’è una strada per riportarlo in Italia, il governo agisca subito