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“Chiedere perdono? Troppo facile”. Parla Benjamin Stora, lo storico a cui Macron si è rivolto per far sì che, dopo 60 anni, i due Paesi finalmente si riconcilino. Risultato? Tutti scontenti

PARIGI. Dopo sessant’anni, sulla guerra d’Algeria non c’è ancora una lettura storica consensuale, anzi. Il lungo e cruento conflitto tra l’esercito francese e gli indipendentisti del Fln (Front de libération nationale) resta una ferita che non si è mai rimarginata, una delle pagine più buie della storia francese. Emmanuel Macron, che non era nato ai tempi del conflitto, avvenuto tra il 1954 e il 1962, ora vuole avviare un percorso di memoria e riconciliazione tra le due sponde del Mediterraneo. E lo ha fatto chiedendo una serie di raccomandazioni allo storico Benjamin Stora, che da quarantacinque anni studia la colonizzazione. Non sono in vista né scuse né pentimenti da parte di Macron, come vorrebbe invece il governo algerino. Ma nel Rapporto che Stora ha consegnato all’Eliseo vengono proposte una serie di misure e gesti simbolici. “Piuttosto che pentirsi” spiega lo storico, “la Francia dovrebbe riconoscere le discriminazioni e gli abusi subìti dal popolo algerino”.

Com’è stato accolto il suo Rapporto in Algeria?
“Le organizzazioni vicine al governo hanno respinto il Rapporto definendolo colonialista. Una reazione scontata. Non vogliono aprire un dibattito su ciò che è successo durante la guerra d’Algeria, ovvero le battaglie tra organizzazioni nazionaliste, l’emarginazione dei leader storici, alcuni dei quali assassinati. Hanno paura di aprire il vaso di Pandora della memoria algerina”.

E in Francia?
“L’attacco più duro è venuto dall’estrema sinistra. Mi hanno accusato di non descrivere sufficientemente i massacri, di non pretendere le scuse ufficiali dello Stato francese. Mi hanno criticato perché ho citato le violenze da entrambe le parti. Il sistema coloniale era un misto di oppressione, dominazione e allo stesso tempo resistenza, ibridazione. L’estrema sinistra dice il contrario: vede solo due blocchi contrapposti, nessuna zona intermedia”.

L’estrema destra le rimprovera invece di sottovalutare la violenza in Algeria contro gli europei.
“Dimenticano che sono stato il primo storico francese a raccontare il massacro di Melouza da parte del Fln nel 1957 o quello di Orano nel 1962, con quello degli Harkis”.

Perché è contrario alle scuse?
“Le scuse sono un modo di chiudere l’intera questione senza parlare delle torture, dei test nucleari, degli scomparsi, del trasferimento degli archivi segreti, di come si racconta il colonialismo nei libri scolastici. Lo shock provocato dal mio Rapporto dimostra che per la prima volta la gente scopre i tanti problemi sommersi nella storia tra Algeria e Francia. Finora la disputa ideologica aveva occultato tutto”.

Come mai questo passato coloniale per la Francia è più doloroso di altri?
“L’Algeria non era una colonia nel senso stretto della parola. Si trattava di tre dipartimenti francesi come la Savoia o la Corsica. Nelle città algerine, c’era il municipio, la scuola di fronte, il palco per la banda, il viale dei platani, proprio come in ogni città francese. L’enorme differenza era che la popolazione musulmana indigena, come si diceva all’epoca, non aveva accesso alla cittadinanza. Gli europei venuti in gran numero dall’Italia o dalla Spagna vi hanno avuto accesso con la naturalizzazione nel 1889, gli ebrei d’Algeria anche con il decreto Crémieux del 1870, ma la maggioranza dei musulmani no. Erano sudditi francesi, ma non cittadini. Il diritto di voto è arrivato solo dopo la Seconda guerra mondiale. Può immaginare il risentimento che questo ha alimentato”.

Era stato un avamposto strategico?
“Le frontiere della Francia, fino al 1962, si fermano nel Mali. E c’è il Sahara, il più grande deserto del mondo, con il petrolio e il gas sfruttato dal 1956, che serve come territorio per i test nucleari. All’inizio della guerra d’Algeria, per tutta la classe politica francese, compresa la sinistra, l’indipendenza non era concepibile”.

Gli orrori della guerra sono ancora oggi tabù?
“L’indipendenza algerina ha scatenato una terribile crisi del nazionalismo francese che ha portato al putsch dei generali dell’aprile 1961. Tuttavia, attraverso un’intuizione politica, de Gaulle è riuscito a imporre un’altra narrazione: la questione del Sud coloniale era conclusa, c’era l’Europa da costruire, e lui si è presentato, attraverso i suoi viaggi, come il campione della lotta contro l’imperialismo americano. È stato molto abile”.

Gli altri presidenti hanno evitato di guardare in faccia la verità?
“È terribile dirlo ma penso bisogna essere lucidi: nei discorsi di de Gaulle, Giscard d’Estaing e Mitterrand non c’è mai stata la minima autocritica. Il cambio di tono inizia con Jacques Chirac, che affronta il passato più doloroso della Francia: inizia con gli ebrei del Vél d’Hiv, continua con la schiavitù grazie alla legge Taubira, e prosegue con le scuse per il massacro in Madagascar”.

Fu anche sotto la sua presidenza che il termine “guerra d’Algeria” venne finalmente utilizzato?
“È stato un passo enorme. Ma con Sarkozy c’è stata una nuova frenata. Nel 2007 ha fatto un discorso a Tolone valorizzando l’Algeria francese e alimentando il famoso slogan: ‘Nessun pentimento’. François Hollande, con il discorso di Algeri del 2012, condanna la violenza coloniale senza fare niente di più”.

Macron segna una svolta: nel 2017 dichiara che la colonizzazione è un crimine contro l’umanità.
“Penso che ci siano stati crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in particolare durante la conquista coloniale nell’Ottocento, ma non ci sono stati 132 anni di massacri in Algeria. C’era anche un legame amministrativo, una mescolanza, il fatto che i nazionalisti algerini sedevano sui banchi della scuola repubblicana e usavano i principi della rivoluzione francese per guidare la propria rivoluzione. Non si tratta di schierarsi con chi difende la colonizzazione, ma dobbiamo fare lo sforzo di riconoscere una realtà complessa”.

Sorgente: La battaglia delle scuse tra Francia e Algeria – la Repubblica

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