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Il governo si pepara a prorogare la moratoria sui rimborsi dei finanziamenti, ma il rischio default resta in agguato. Boom dell’importo medio richiesto alle banche (+61%), mentre aumentano le aziende che pagano i fornitori con ritardi superiori al mese (12,8% del totale nel 2020, +21,9% sul 2019 e il doppio rispetto a dieci anni fa)

di Marco Patucchi

SONO le linee isobare di una tempesta perfetta. Il governo, con il nuovo Decreto Sostegni, prova a spostare più avanti di qualche mese l’appuntamento con la minaccia, comprando tempo nella speranza che intanto il vaccino ci allontani definitivamente dall’incubo della pandemia e che la ripresa economica si inneschi davvero, ma il rischio default per migliaia di piccole e medie imprese italiane continua a stagliarsi all’orizzonte. I dati più aggiornati sull’indebitamento delle aziende incrociati con quelli sul ricorso alla sospensione delle rate di rimborso (moratoria), fotografano un quadro ad alta probabilità di implosione ed è per questo che una delle certezze dell’imminente dl Sostegni è la prosecuzione delle misure a favore della liquidità: “Per sostenere l’erogazione del credito alle piccole e medie imprese (Pmi) – si legge d’altro canto nel Documento di economia e finanza (Def) appena varato dal governo – la scadenza del regime di garanzia dello Stato sui prestiti sarà prorogata dal 30 giugno a fine anno. Anche la moratoria sui crediti della Pmi sarà estesa nel tempo”. Insomma, chi è in difficoltà acclarata può continuare a non rimborsare i prestiti, mentre anche lo scudo della garanzia dello Stato resterà alzato.

 

Una boccata d’ossigeno, anche se è come se gli imprenditori e i loro dipendenti rimanessero in respirazione artificiale. Crif, il database del sistema creditizio italiano, ha elaborato per Repubblica i numeri dell’emergenza (articolati territorialmente nei grafici navigabili), a cominciare da quelli più aggiornati sulla richiesta di credito che rappresenta l’indicatore di fondo del fabbisogno di liquidità, dunque di quanto e come le aziende (ovviamente quelle che sono sopravvissute allo tsunami Covid) siano ancora in grado di tenere in piedi la propria attività. Ebbene, nel primo trimestre di quest’anno le richieste di credito sono cresciute complessivamente del 28,7% rispetto allo stesso periodo del 2020 (+34% le società di capitali, +20% le imprese individuali), accelerando così una tendenza che ha caratterizzato l’intero periodo della pandemia. E l’emergenza, osservano gli esperti di Crif, si è aggiunta ad una situazione già delicata prima del virus con una fetta “non trascurabile” delle imprese italiane in grado di coprire meno del 50% dei debiti finanziari a breve termine in scadenza e con l’8% delle aziende addirittura senza margini di manovra.

 

 

Il 42% delle richieste totali di finanziamenti arriva da imprese con fatturato inferiore ai 500mila euro, il 17% da quelle con giro d’affari tra 500mila e un milione di euro. Quanto ai settori, il 38% delle domande di finanziamento proviene dai servizi, il 36,6% dall’industria, il 14,5% dal commercio al dettaglio e il 10% dal commercio all’ingrosso. “Il crollo del fatturato del 2020 – spiega Simone Capecchi, executive director di Crif – non verrà recuperato nel 2021. Il rallentamento del ciclo economico continua a condizionare il flusso di cassa delle imprese. Dunque per molte aziende anche quest’anno aumenterà l’esigenza di reperire importi significativi di nuova finanza, fino a coprire il 50% del fatturato nei settori più colpiti. Ecco come si spiega il balzo delle richieste di credito”. E anche il boom dell’iporto medio richiesto, cresciuto del 61% attestandosi a 111.997 euro (+44,5% a 41.655 euro per le imprese individuali, +60,5% a 150.212 euro per le società di capitali), è un eloquente indicatore dell’emergenza. Sicilia, Campania e Lazio le regioni dove la crescita di richieste di credito è più rilevante, mentre la domanda più contenuta è nelle Marche e in Toscana.

 

 

In questo circolo vizioso, il fabbisogno di credito spiega ed è spiegato dal tracollo dei flussi di cassa sofferto dalle imprese nell’anno di pandemia: lo scorso anno il numero di aziende che ha pagato i propri fornitori con oltre 30 giorni di ritardo ha raggiunto quota 12,8%, dato più alto del 21,9% rispetto al 2019 e più che doppio a confronto di quello di dieci anni fa (5,5%). Un ulteriore 51,5% di imprese ha saldato le fatture commerciali comunque in ritardo, anche se inferiore al mese. La fotografia di un sistema produttivo messo in ginocchio dalla pandemia e che è sopravvissuto fino ad oggi grazie agli aiuti di Stato: 1,2 milioni di aziende, pari al 22,5% del totale nazionale, soccorse da 103 miliardi di euro, il 78% dei quali sotto forma di garanzie statali sui prestiti. In Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Marche le quote maggiori di aziende aiutate (rispettivamente 51,6%, 40% e 34,1% sul totale del tessuto imprenditoriale); in coda Campania (16,7%), Molise (16,3%) e Lazio (15,3%).

 

 

Prestiti garantiti e ristori vari. Ma anche la moratoria sulle rate di rimborso dei prestiti messa in campo dal governo, a partire dal marzo dello scorso anno con il dl Cura Italia, per scongiurare il più possibile il rischio di fallimento delle aziende. “Il tasso di default sui finanziamenti attivi – sottolinea Crif – nel 2020 risulta compreso per le persone giuridiche tra il 2,5 e il 3,5%. Un primo segnale di deterioramento dello stato di salute, parallelo a quello dell’allungamento dei tempi di pagamento delle fatture commerciali”. Ovviamente proprio la sospensione dei rimborsi ha mitigato l’ulteriore accentuazione dei crediti deteriorati che, a giugno 2020, ammontavano per a 110 miliardi (77% società non finanziarie con più di 5 addetti; 8% imprese individuali e società semplici; 15% famiglie consumatrici).  Il 22,6% dei contratti di finanziamento riconducibili alle imprese italiane ha beneficiato della moratoria, con gli estremi della Valle d’Aosta (29,2%) e del Trentino Alto Adige(4,4%). E tornando al concetto del circolo vizioso, non si può non evidenziare come le prospettive di un deterioramento della qualità del credito (il ritardo o il mancato rimborso, per intenderci) finiranno con il determinare l’adozione di politiche di finanziamento più caute e selettive da parte delle banche. Insomma, tassi più alti e crescita delle richieste respinte.

 

 

Non a caso, oltre al fronte imprenditoriale è stata anche l’Associazione bancaria italiana (Abi) a spingere per la proroga della moratoria: “La misura va mantenuta sino al definitivo superamento dell’emergenza. Altrettanto fondamentale sarà applicare la massima gradualità nella successiva rimozione, per evitare contraccolpi sull’economia reale”. Tesi che viaggia anche oltreconfine: “Un ritiro anticipato o una riduzione del sostegno – ha detto nei giorni scorsi il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos, riferendosi agli aiuti pubblici alle imprese in Europa – rischia di innescare un’ondata di insolvenze che avrebbe un grande impatto sull’economia”. Quel rischio di implosione che il governo italiano sta cercando di spostare più in là possibile, facendosi coraggio con un primo segnale di ottimismo che arriva dalla Banca d’Italia: la somma totale delle moratorie richieste, che a marzo 2020 ammontava a 281 miliardi, un anno dopo è scesa a 173 miliardi pari al 60% del totale. Come dire che il 40% dei soggetti che avevano chiesto la sospensione delle rate ha ricominciato a rimborsare.

 

 

 

 

Sorgente: Imprese più indebitate (+30%): la sospensione delle rate può scongiurare i fallimenti – la Repubblica

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