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Lo storico turco Akçam: «Il riconoscimento di Biden aprirà la strada alle cause di risarcimento da parte delle vittime e dei loro discendenti. Per la Turchia è una pressione enorme»

di Monica Ricci Sargentini

Dopo anni di studi e di ricerche Taner Akçam, lo storico turco che ha fornito al mondo le prove schiaccianti del genocidio armeno, sente che è arrivato il momento della svolta, quella che aspettava da tempo. «Le parole di Biden mettono un’enorme pressione sulla Turchia — dice, senza nascondere la forte emozione, al Corriere dalla Clark University in Massachusetts dove insegna — perché ora si apriranno le cause per i risarcimenti e perché Ankara sarà isolata politicamente».

È la prima volta che un presidente americano riconosce ufficialmente il genocidio del popolo armeno ad opera dell’Impero Ottomano. Cosa succederà ora?
«È un riconoscimento molto importante che si aspettava da anni, perché il sistema giudiziario americano prevede che si possano intentare delle cause legali una volta che è stato riconosciuto un genocidio. E siccome a questo punto sia il Congresso che la Casa Bianca hanno fatto questo passo, le aziende e gli Stati che hanno tratto profitto dal massacro degli armeni o ne sono stati coinvolti potranno essere chiamati a renderne conto nei tribunali americani se hanno avuto relazioni con gli Stati Uniti. In California sono già state fatte dozzine di azioni legali ma i giudici hanno deciso di rimettersi a una decisione federale sul tema che ora è arrivata».

Quindi giustizia sarà fatta?
«Di certo non nel breve periodo ma finalmente si apre un nuovo cammino, per avere dei frutti ci vorranno anni».

Quali saranno le conseguenze per la Turchia?
«Per Ankara significherà un isolamento totale. Il Paese sarà posto nella stessa categoria della Corea del Nord e dei regimi africani. Ma è una situazione che la Turchia non potrà di certo sopportare né economicamente né politicamente. È un po’ quello che è successo con la Svizzera che, durante la Seconda guerra mondiale, aveva permesso ai nazisti di depositare nelle banche del Paese l’oro sottratto agli ebrei. Alla fine le autorità elvetiche dovettero raggiungere un accordo e nel 2008 accettarono di versare 1,25 miliardi di dollari ai superstiti dell’Olocausto o ai discendenti delle vittime».

Nel 1976 lei fu condannato a dieci anni di prigionia per aver discusso pubblicamente del genocidio armeno, l’anno successivo fuggì di prigione e riparò in Germania, oggi è negli Stati Uniti, si considera anche lei un sopravvissuto?
«Sicuramente aver testimoniato negli anni 70 l’uccisione di tante persone da parte degli agenti di polizia mi ha portato a fare ricerche sulla storia delle violenze e delle torture in Turchia e, infine, sul genocidio armeno. In quegli anni sono stato anche influenzato dall’assassinio di Hrant Dink».

Il suo libro «Killing orders» è un elemento cruciale per il riconoscimento del genocidio. Lei ha detto di averlo pubblicato «nella speranza di eliminare l’ultimomattone del muro del negazionismo». Come è arrivato a scoprire l’archivio?
«C’era questo enorme volume di documentazione raccolta dal sacerdote armeno cattolico Krikor Guerguerian (1911-1988) che durante il Medz Yeghern (“Grande Crimine”) fu testimone dell’uccisione di entrambi i genitori e di 10 suoi fratelli. Lui spese gran parte della sua vita raccogliendo oltre 100.000 pagine di documenti, in vista della preparazione di una tesi di dottorato sul genocidio armeno che non vide mai la luce, ma non aveva concesso a nessuno l’accesso. Io nel 2015 chiamai il nipote Edmund Guerguerian, era l’anniversario dei cento anni dal genocidio, e gli dissi “Ma te li vuoi portare nella tomba?”. Così lui mi ha permesso di accedere all’archivio ed è nato il libro».

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E che cosa ha trovato?
«Ho trovato i diari privati scritti a mano da Talet Pasha, uno dei triumviri che di fatto ressero l’Impero Ottomano durante la Grande guerra che lavorava nell’ufficio della deportazione, li ho comparati ai telegrammi di Pasha e di altri burocrati che Ankara sosteneva fossero falsi e, invece, coincidevano punto per punto. Uno di questi recita: “I diritti di tutti gli armeni sul suolo turco, come il diritto alla vita e al lavoro, sono stati soppressi; nessuno deve essere risparmiato, nemmeno l’infante nella culla”».

Il governo turco continua però a negare il genocidio.
«La negazione non ha nulla a che vedere con la verità dimostrata dai documenti perché è una questione politica. Ora con la mossa della Casa Bianca la pressione su Ankara sarà enorme».

Sorgente: «Genocidio armeno, così ho trovato le prove nell’archivio»

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