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Massimilano Gatti è l’unico ad allevare la specie “bison bison” in Italia e lo fa con un metodo che ricorda il rapporto tra questi animali e i Nativi americani. “La nostra carne non sarà mai in vetrina, chi la vuole mangiare la prenota online e solo quando è stata tutta venduta il bisonte viene abbattuto, mai prima”

Umbro di nascita e di allevamento, come dice lui, Massimiliano Gatti è il primo allevatore hi-tech di bisonti in Italia. Quello che poteva sembrare un azzardo si è rivelato un prodigio, da un boccone la scintilla per cambiare vita: dopo il lavoro nell’azienda di famiglia e poi in un grande gruppo alimentare, “una sera a cena ho assaggiato un’entrecôte di bisonte canadese, sono rimasto folgorato dalla tenerezza della carne, il sapore era molto buono ma aveva un retrogusto forte di ferro”. Questo il primo boccone, il primo contatto con la carne di bisonte: “Negli USA l’ho rimangiato ed era un velluto in bocca, sapore rotondo senza spigoli: mi ha conquistato”. Con gli assaggi successivi le domande frullavano in testa: perché in Italia non era così? La risposta è arrivata con gli studi e l’esperienza, “l’alta percentuale di ferro e la ridottissima quantità di grassi che irrancidiscono velocemente, insieme ai lunghi tempi dell’importazione fanno in modo che il sentore di ferro venga fuori, come se si ossidasse.”

 

Questa prima risposta non bastava, ecco la seconda domanda a cambiargli la vita: perché non allevarli in Italia? Un percorso formativo e autorizzativo di tre anni e mezzo lo ha portato ad aprire il suo allevamento di bison bison, i bisonti. “Sono animali complessi, sono atleti olimpici da 10 quintali con uno scatto repentino, alti due metri al garrese, corrono a 60 km/h, saltano anche un metro e mezzo, e vogliono essere lasciati in pace”. Partendo da zero, insieme alla compagna Emilia Sacco, su un terreno in affitto a Olmini, sulle pendici di Panicale a due passi dal Lago Trasimeno, nell’estate 2018 sono arrivati 18 bisonti da 6 quintali ognuno. La specie bison bison, scelta per l’allevamento è un modo per chiudere un cerchio, è l’ultima discendente degli animali che nella Preistoria popolavano queste terre, come si evince dai fossili rinvenuti. “Il bisonte è il solo grande mammifero che rimette l’uomo al suo posto. Vivono allo stato brado secondo le gerarchie del branco, i vitellini non vengono separati dalle mamme per andare all’ingrasso, è lo stesso cucciolo a iniziare la sua vita autonoma secondo i ritmi della natura”. Se limitati negli spazi o spinti a fare cose di cui non hanno voglia si ribellano con tutta la loro stazza: “L’uomo non ha alcuna autorità, mi riconoscono in un rapporto di amore e odio: esiste una sottile linea fra il nostro mondo e il loro, l’uomo si può avvicinare con rispetto ma non deve oltrepassarla”.

Gli animali vengono allevati allo stato brado e macellati solo in “tarda età”  

 

Non potrebbe essere altro che un allevamento allo stato brado, dove il branco vive secondo le regole basate su un sistema matriarcale e il capobranco ha il ruolo della difesa e della monta. “Si accoppiano in tarda primevera/estate con monta naturale, fare selezione genetica sui bisonti è una battaglia persa: solo il più forte e non il più bello ha diritto di accoppiarsi con le femmine, quello che vince le sfide”. Nove mesi di gestazione, rari parti gemellari e solo una volta su un milione nasce un bisonte bianco. “Fanno una vita bellissima, sono liberi, dormono sul campo, mangiano primariamente erba del pascolo, fieno coltivati nei campi introno all’azienda e vengono monitorati da tre microchip: riconoscimento, temperatura corporea e attività motoria. Tutti i giorni entrano in un corridoio dove vengono riconosciuti e pesati, c’è una mangiatoia automatica che, in base al peso e a quanto hanno corso, eroga una razione di minerali e cereali idonea a riequilibrare l’assetto dietetico giornaliero”, sistema che ha valso a Gatti l’Oscar Green 2020. Non sarebbe possibile costringerli a questo passaggio, ci vanno volontariamente perché vivono questo momento come un premio.

 

Lo stile di allevamento di Gatti gli è valso l’Oscar Green 2020 

 

I bisonti rimettono l’uomo al suo posto, come ha detto Massimiliano, e chiedono rispetto. Parola non priva di autentico significato che nel suo allevamento, e nella sua vita, diventa vera filosofia, dall’allevamento alla lavorazione della carne. Il bisonte non viene macellato prima dei 38/40 mesi, momento in cui un lupo lo potrebbe attaccare, trovandolo in natura in condizioni di debolezza dopo un combattimento o ferito. “Noi andiamo a fare il lupo: li abbattiamo in campo, non si accorgono di nulla” racconta Massimiliano con la voce compita. “Sono fra i pochi animali a vivere il lutto, il branco deve essere in grado di elaborare il distacco. Il capo prova a rialzarlo con le corna, se non riesce a rimetterlo in piedi si rotola nel suo sangue. I nativi americani dicevano che così ne prendevano lo spirito, in realtà è una questione chimica legata ai feromoni.”

 

“Non avvertendo la paura – come avviene per gli animali verso il macello – non hanno scariche di adrenalina che consumando il glicogeno fanno irrigidire i fasci muscolari, partiamo già da una carne tenera. Nei bisonti i muscoli non hanno fibre lunghe e sovrapposte come nei bovini, ha una fibra frastagliata esagonale, una sopra all’altra”. Per questo in bocca risulta morbida, tenera e succosa, quasi fondente sotto i denti ma con una masticabilità di estremo piacere. “Non è marezzata e non ha bisogno di frollatura – requisiti necessari per i tagli bovini – ha solo 5 giorni di rifreddo in cella”, grazie alla particolare struttura della fibra muscolare. L’etica di questo particolarissimo allevamento che si spande in ogni aspetto, raggiunge anche la vendita: “La nostra carne non sarà mai in vetrina, chi la vuole mangiare la prenota online e solo quando tutta è stata venduta il bisonte viene abbattuto, mai prima” prosegue Massimiliano, rendendo l’idea di essere l’antitesi del consumismo ma l’incarnazione della filosofia che vende, ma che prima di tutto vive e lo ha fatto innamorare di questi bestioni. Il sapore non è facile da descrivere, come ha raccontato Massimiliano Mariola: “Somiglia al vitello, sembra selvaggina ma non lo è”, mentre Gatti lo racconta come “un sapore rotondo e pulito, una carne non grassa con una punta di dolcezza e una persistenza in bocca lunga, estremamente tenera”. Del bisonte non si butta nulla, si mangia anche il quinto quarto: trippa dal colore giallo di bestia che ha mangiato solo erba, la lingua carnosa, “il fegato più simile al foie gras de canard che al fegato di vitello, ha un sapore dolce e armonioso”. Del gusto si potrebbe parlare a lungo, ma il vero banco di prova è l’assaggio; quello che colpisce sono le proprietà nutrizionali di questa carne nutriente e ipocalorica: circa 105 kcal per etto con il 70% di ferro in più rispetto al manzo, un ridottissimo apporto di colesterolo che si attesta allo 0,035% e l’1,4% di grassi, “corrono tutto il giorno e non hanno ritenzione idrica, la resa in cottura è intorno al 95/96%”.

L’azienda si basa su un’economia circolare e dell’animale non viene buttato via niente, compreso il manto. Che diventa lana pregiata e anallergica  

 

Ed è qui, dopo il rito del lutto nel branco e la macellazione, che si avvia la parte di lavoro per rispettare il sacrificio del bisonte, tutto, intero, senza perdere nulla in modo che ogni istante di vita ne sia onorato. “Non buttiamo nulla, proprio come facevamo i nativi americani: in estate raccogliamo la lana che perdono per cardarla e filarla – si ottiene un filato di pregio anallergico ed estremamente isolante, destinato alla linea di abbigliamento -, e la pelle conciata con tannini di castagno per capi di pelletteria resistenti, leggeri e durevoli. Con il grasso perirenale facciamo saponi e shampoo solidi, le ossa prima usate per il brodo ricco di collagene e minerali, poi un laboratorio le lavora per ottenere utensili moderni – manici di coltelli, cucchiai resistenti e leggeri -, le corna vanno a un’azienda di Mantova che realizza placche per montature da occhiali e fibbie per le nostre cinte”. È un’economia circolare a strettissimo giro, solo il sangue non può essere utilizzato. È un allevamento dove il rispetto per gli animali diventa ingrediente fondamentale per il pregio che si va a mangiare.

Sorgente: E in Umbria, a due passi dal lago Trasimeno pascolano i bisonti – la Repubblica

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