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Per attitudine e non per sortilegio Mario Draghi si è fatto invisibile. Nelle fiabe l’invisibilità si ottiene per magia. Un cappello. Una pozione. Un abracadabra. In politica è più semplice. La si ottiene col potere. E serve ad accrescerlo. 

di Pino Corrias

Nei tempi remoti era invisibile il sovrano, salvo alla corte addetta ai suoi ordini e ai suoi dispetti, bastando i bastioni del suo castello a sigillarlo.

In Cina era invisibile anche il luogo dove abitava, la Città Proibita, dove solo gli eletti erano ammessi e gli addetti alla manutenzione della sua vita quotidiana che era fatta di sostanza divina, non narrabile, come per qualche millennio è accaduto nel Giappone degli imperatori, salvo l’ultimissimo, Naruhito che considerandosi umano e non più divino, va a sciare e suona la viola.

Qui siamo nella democrazia d’Occidente, con qualche sovrappiù di esibizionismo mediterraneo e di tradizionale commedia all’italiana. E la questione della invisibilità è di molto complicata dal carattere esuberante dei capi, dai ricorrenti intrighi che deflagrano in pubblico, oltre che dalla seccante faccenda della libertà di stampa che avanza qualche pretesa. Limitandoci alla Seconda Repubblica, nessun premier si è fatto invisibile, neppure il timido Enrico Letta e il sobrio Mario Monti, trascinato in pubblico da un cagnolino.

In quanto a Giuseppe Conte, dall’invisibilità veniva e voleva scrollarsela di dosso. Per questo si è concesso, persino troppo, a interminabili conferenze stampa, con l’attenuante della perpetua emergenza che imponeva informazioni, rassicurazioni, bilanci.

Berlusconi è stato il più visibile di tutti, ben oltre l’esibizionismo. Così persuaso del suo irresistibile carisma da chiedere e ottenere l’omaggio quotidiano di tutte le televisioni del regno, specialmente le sue. Quel che non si vedeva, non doveva vedersi. Previti, Dell’Utri, Ruby, per ovvie ragioni. Non dovevano vedersi la dacia di Putin, i giacimenti della Yukos e il signor Bruno Mentasti. Si vedeva solo qualche volta il ciambellano consigliere Gianni Letta, essendo depositata nell’ombra dei palazzi la sua natura e nel potere della moral suasion la sua funzione. Mai un’intervista. Rare le sue apparizioni in pubblico, salvo al Circolo Aniene, dal suo amico Malagò. E in qualche premio d’alto prestigio, dove era sempre lui il premiato, anche quando premiava.

Si è visto persino troppo Matteo Renzi, l’erede di quell’esibizionismo arcoriano che lo ha svezzato. Salvo l’invisibilità di cui si avvale in questi giorni per provare a cancellare l’incancellabile omaggio al principe killer che lui crede un Borgia in sottoveste. Ma nel caso di Renzi l’esibizionismo è inversamente proporzionale al suo potere, essendo agito, più di quanto agisca.

Draghi è proprio l’opposto dei nostri ultimi cantastorie. Non canta. Non suona. Non si fa vedere. Ha letto per 52 minuti in Senato e per 13 alla Camera gli intendimenti del governo. Da allora ha detto un paio di volte “Buongiorno” e una volta “Buonasera”.

Per lui hanno parlato le nomine. E almeno nel caso dei 39 sottosegretari, pescati nel doppiofondo dei partiti, si è vista la sua poderosa astuzia di imbarcarli senza neanche un fiato che potesse comprometterlo, sebbene compromesso. Essere invisibili è un comportamento anche simbolico. Nelle faccende di potere una dote.

Dice agli interlocutori che si è molto di più di quello che (non) appare. Ma ha anche un fascino pericoloso, specialmente quando si progetta la distribuzione dei pani e dei pesci per i prossimi cinque anni. Circostanza che ha fatto sgomberare il suo predecessore in una notte da quel “governo che agisce nella più assoluta oscurità” come annotava Norberto Bobbio, ai tempi suoi, parlando del “nostro sistema di potere”.

Sarà speriamo sua cortesia, non rispondere solo a quello, ma qualche volta anche a noi.

 

Sorgente: Silenzioso e invisibile: l’arte di Draghi ha un lato oscuro – Il Fatto Quotidiano

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