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28 March 2024
0 6 minuti 3 anni

Falsificavano i bilanci e quando potevano, neppure li presentavano. Sistemavano nei posti dirigenziali amici e clientes senza titoli. E chi doveva controllare, anche se era un commissario del governo mandato da Roma, preferiva girarsi dall’altra parte. Così il debito è cresciuto negli anni a dismisura, nessuno più è in grado di dire esattamente quanto.

Benvenuti a Cosenza: l’Azienda Sanitaria Provinciale più grande della Calabria, che dovrebbe prendersi cura di quasi 700 mila cittadini, è ben oltre il limite del fallimento. Il buco è indefinibile, si aggira tra i 750 milioni e 1 miliardo di euro. Un altro mezzo miliardo pesano i contenziosi legali con aziende farmaceutiche, cliniche private e laboratori di analisi che prima fatturano senza autorizzazione prestazioni extra budget, ovvero oltre i tetti di spesa annuali stabiliti dalla Regione, e poi seppelliscono le tesorerie di ingiunzioni legali.

Il procuratore Mario Spagnuolo lo ha chiamato “Sistema Cosenza” in un’inchiesta che fa tremare i polsi a un blocco di potere opaco e parassitario che da decenni succhia risorse vitali sottratte ai cittadini calabresi e demolisce un pezzetto alla volta il welfare sanitario della terra più dimenticata d’Italia.

Spagnuolo ha lavorato due anni con un solo sostituto e due finanzieri e l’indagine non è ancora finita. Oltre ai massimi dirigenti dell’Asp sono indagati anche i controllori: l’ex commissario alla Sanità calabrese Saverio Cotticelli, licenziato in tronco nel novembre scorso perché neppure sapeva di dover fare il piano anti-Covid; il suo predecessore Massimo Scura, che davanti al Gip ha confessato di non aver mai visto un bilancio dell’Asp di Cosenza; Antonio Belcastro, per anni figura chiave della sanità calabrese, ex capo dipartimento e delegato regionale all’emergenza Covid. Sono stati tutti interdetti dai pubblici uffici, in attesa che si arrivi al processo.

“Il sistema Cosenza è il sistema Calabria”, dicono due degli indagati in un’intercettazione. Perché i protagonisti cambiano nel tempo e nei luoghi, ma le modalità rimangono le stesse. “L’Asp di Cosenza muove qualcosa come 2 miliardi l’anno e i bilanci che abbiamo esaminato sono falsi – spiega il procuratore Spagnuolo – Più andiamo avanti e meglio si delineano i profili dei protagonisti: oltre alle strutture private che vendono prestazioni sanitarie, ci sono politici, dirigenti e funzionari pubblici ma anche professionisti, importanti studi legali e società finanziarie fuori dalla Calabria”.

Già perché il Sistema sazia anche i palati più raffinati, come quelli della finanza milanese: decine di società di factoring con sede in eleganti palazzi tra il Duomo e piazza Affari (e cassaforte rigorosamente nei paradisi fiscali) acquistano i crediti dalle strutture private a prezzo di saldo e lucrano interessi a due cifre approfittando del cronico ritardo nei pagamenti che all’Asp di Cosenza arrivano fino a 800 giorni.

Secondo Bruno Santamaria, avvocato milanese che si è occupato a lungo delle truffe ai danni del sistema sanitario, “Il ritardo è il bene principale. Quando il credito rimane fermo matura degli interessi che nessun Bot o titolo azionario è in grado di garantire, con la certezza assoluta che quei soldi prima o poi li prendi. Con interessi anche del 50%”.

Una clinica privata magari non può aspettare due anni per il pagamento di una fattura ma una società che si occupa di cartolarizzazioni, sì. È quello che ha pensato l’avvocato Enzo Paolini, politico di lungo corso e più volte candidato a sindaco della città, ma soprattutto presidente regionale di Aiop, l’associazione italiana dell’ospedalità privata. È lui che ha messo in contatto molte case di cura private con la 130 Servicing, società di intermediazione finanziaria che offre servizi a investitori istituzionali come banche, assicurazioni e fondi pensione. Negli uffici di via San Prospero, a Milano, hanno sede legale una galassia di società che hanno acquistato montagne di crediti dalle cliniche private calabresi. Alcune di queste cliniche fanno riferimento a politici come il Gruppo San Bartolo della famiglia del consigliere regionale Luca Morrone o la Casa di cura Cascini, di proprietà del sindaco di Belvedere Marittimo. Il Tribunale di Palmi ha stabilito che c’è incompatibilità tra le due cariche, ma lui ha vinto il ricorso e continua a indossare la fascia tricolore al mattino e il camice da dottore nel pomeriggio. In ogni caso il Municipio e la Casa di Cura distano poche decine di metri.

“È venuta da noi una società milanese. Ci ha detto: vi compriamo le fatture che non vi sono state saldate. Ve le paghiamo al 50% – racconta Cascini sul filo dell’indignazione – Pochi, maledetti e subito. Lo capite o no che noi ci perdiamo un sacco di soldi?». Sarà, ma così le cliniche private incassano comunque una parte degli extra budget che non avrebbero potuto fatturare e le società di factoring vedono moltiplicarsi il più sicuro degli investimenti.

Ricostruire il rapporto tra prestazioni erogate e fatture è quasi impossibile. Negli uffici dell’Asp di Cosenza nessuno sa dove (e se) vengono conservati i documenti contabili degli anni passati. Poi magari qualcuno – per dolo o per errore – chiede lo stesso pagamento due o tre volte di fila: la tesoreria non se ne accorge e l’ufficio legale non si presenta neppure in tribunale quando l’Asp viene citata in giudizio. Nella teoria dei giochi si chiama “win-win”, vincono tutti.

Sorgente: Il debito sanitario monstre che ingrassa le cliniche. Ecco il sistema Calabria – L’Espresso

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