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Saranno solo il presidente della Repubblica e il premier incaricato a decidere i nomi per il governo, scegliendo in piena autonomia i politici che ne faranno eventualmente parte

di Francesco Verderami

La notizia che temevano è arrivata. Al termine delle consultazioni, il presidente del Consiglio incaricato ha fatto formalmente sapere alle forze politiche che per la formazione della squadra di governo verrà applicato l’articolo 92 della Costituzione. «Alla lettera». Tradotto vuol dire che saranno solo Mattarella e Draghi a decidere la compagine ministeriale, scegliendo in piena autonomia i politici che ne faranno eventualmente parte. «Prepariamo i sali, perché si prevedono mancamenti», sospira un dirigente del Pd, rappresentando una condizione che accomuna anche le altre forze della futura maggioranza.

D’altronde — com’è stato spiegato — l’esecutivo non è espressione dei partiti ma un governo del presidente, dettaglio che stronca le ambizioni di quei leader, da Salvini a Zingaretti, che meditavano di farne parte. Il Consiglio dei ministri dovrebbe essere composto per metà da donne e per l’altra metà da uomini. E qui sostanzialmente finiscono le informazioni concesse alle forze politiche, dove c’è ancora chi si ostina a seguire il messale laico di altre liturgie. «Noi non daremo nomi secchi a Draghi», ha detto ieri sera il vicesegretario del Pd Orlando. In realtà al comitato politico del suo partito, Zingaretti ha spiegato altro, specificando che i dicasteri di peso saranno in mano ai tecnici, mentre i politici serviranno a stabilizzare l’esecutivo.

 

Fino a quando non si sa, visto che il maldipancia collettivo porta tutti a scommettere che così l’orizzonte del governo non sarà di legislatura. Ma è un fatto che molti, anche dopo la scelta di Mattarella, ritenessero impossibile la nascita di un governo delle larghe intese, «nemmeno se lo guidasse Superman». Invece Draghi deve solo superare l’ultimo ostacolo: il voto dei grillini sulla piattaforma Rousseau. Quando l’altra notte — con un surreale video — ha bloccato la consultazione interna, Grillo era terrorizzato dalla prospettiva che potesse vincere il «no» al governo istituzionale. Di qui l’appello all’ex presidente della Bce, perché facesse un endorsement pubblico a favore del ministero della Transizione ecologica, il nuovo totem di M5S.

 

Ma era chiaro che Draghi non avrebbe potuto accedere alla richiesta, nonostante il tentativo di mediazione del presidente della Camera. Così com’era chiaro che non avrebbe ceduto al diktat grillino, pronto a fermare fino a venerdì il referendum: concedeva solo ventiquattrore. Ed è stato in quel frangente che il «tecnico» ha mostrato doti di «politico», affidando alla presidente del Wwf la «buona notizia che il presidente del Consiglio mi ha appena annunciato durante la consultazione: ci sarà un ministero per la Transizione ecologica». Quale sarà la sua struttura non si sa, quali deleghe gli verranno assegnate nemmeno, che possa gestire la parte più cospicua del Recovery fund è escluso. Ma tanto è bastato per far esultare i grillini che appoggiano Draghi e che oggi apriranno e chiuderanno il referendum in orario d’ufficio: dalle 10 alle 18.

Il paradosso è che sia proprio il «banchiere», il «rappresentante dei poteri forti», l’uomo a cui Grillo si è dovuto aggrappare per tentare di salvare l’unità del Movimento. Perché è lì, oltre che nel Pd, l’epicentro della crisi dopo la caduta di Conte. E proprio Conte era (e resta) sotto osservazione dei grillini filo-draghiani, se è vero che ieri Di Maio si è incaricato personalmente di chiedergli una dichiarazione a sostegno dell’ex presidente della Bce: un modo per dissipare il sospetto (e qualcosa di più) che stesse alimentando il dissenso nel Movimento.

Nel derby interno, entrambi hanno affondato il tackle. E mentre il premier uscente pronunciava scarne parole a favore del nuovo governo senza neppure citare Draghi, dalla Farnesina — dove ancora siede Di Maio — veniva annunciato lo slittamento della cerimonia per l’anniversario dei Patti Lateranensi: quella festa, domani, sarebbe potuta essere l’ultima apparizione di Conte in veste di presidente del Consiglio, l’occasione per accomiatarsi da quanti fino all’ultimo lo avevano sostenuto in Vaticano. Domani invece sarà il primo giorno utile per la visita di Draghi al Quirinale con la lista dei ministri.

 

Sorgente: Draghi, ministri del governo scelti con Mattarella- Corriere.it

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