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“Oltre quella montagna c’è il mio sogno, entrare in Europa e avere una vita normale”. B., un ragazzo pachistano, guarda con malinconica speranza il promontorio che segna il confine con la Croazia. Poco tempo fa era arrivato fino a Trieste ma, nonostante la richiesta di asilo, è stato rispedito a catena in Slovenia, Croazia e di nuovo in Bosnia. Il nostro videoreportage comincia così, da una storia che ne racconta tante altre molto simili.

(se non riesci a vedere il video, clicca il link in fondo all’articolo)

In Bosnia Erzegovina ci sono al momento circa 8.500 migranti che vorrebbero raggiungere l’Europa. Di questi, la maggior parte si trova nel cantone Una-Sana, nel nord-ovest del paese. 6.000 circa vivono nei campi gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom). Gli altri 2.500 si trovano accampati nelle foreste attorno alle città, in vecchi palazzoni occupati, addirittura dentro un’ex fabbrica siderurgica dove riecheggia ancora su un muro in rovina una dedica a Tito. “È il collo di bottiglia della rotta balcanica”, dice Silvia Maraone, impegnata con Ipsia-Acli in ex-Jugoslavia dai tempi della guerra civile. La città di Bihac, cuore e capoluogo dell’Una-Sana, è sempre meno tollerante verso questa situazione e l’incendio del campo profughi di Lipa dello scorso dicembre ha riacceso i riflettori su una problematica che ormai si trascina da anni. Ma come si è arrivati a questo punto e come si sopravvive in questo collo di bottiglia? Il tentativo di uscire dalla Bosnia che i migranti chiamano quasi ironicamente il “game”, come avviene? Chi sono queste persone lasciate senza dignità e cosa vogliono? Abbiamo provato a rispondere a queste e altre domande con un viaggio lungo il confine d’Europa, cercando di raccontare un contesto sempre più critico che non sembra offrire soluzioni a portata di mano.

Di Edoardo Bianchi e Andrea Lattanzi

Sorgente: Bosnia, il confine per l’Europa: sulla strada dei migranti tra gelo, pestaggi e malattie – Il reportage – la Repubblica

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