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Business di morte. Una data spartiacque che segna l’impennata dell’export verso il Golfo è il 2009, quando viene ratificato un accordo di cooperazione militare tra Italia e Arabia saudita

Giorgio Beretta

Quella da 411 milioni di euro per 19.675 bombe aeree tipo Mk 80 prodotte dalla Rwm Italia per l’Arabia saudita è certamente la maggiore autorizzazione per forniture di bombe mai rilasciata dall’Italia dal dopoguerra. Ed è particolarmente odiosa perché la licenza è stata concessa dal governo Renzi (Gentiloni agli Esteri e Pinotti alla Difesa) nel 2016, quando le Nazioni unite già da mesi avevano condannato i bombardamenti indiscriminati della Royal Saudi Air Force sui centri abitati, ospedali e scuole incluse, in Yemen. Azioni militari che «possono costituire crimini di guerra» commentava un rapporto del Gruppo di esperti dell’Onu consegnato al Consiglio di Sicurezza nel gennaio 2017 che documentava l’utilizzo delle bombe aeree “made in Italy”.

MA NON È CERTO L’UNICA, né la maggiore fornitura di sistemi militari italiani ai sauditi. Le esportazioni di armamenti alla monarchia saudita risalgono già agli anni novanta, ma c’è una data spartiacque: nel 2009 viene ratificato un accordo di cooperazione militare tra Italia e Arabia saudita.

Ed è proprio in quell’anno che le autorizzazioni all’export di armamenti segnano un’impennata: se nei venti anni precedenti sommavano a poco più di un miliardo di euro, solo nel 2009 superano il miliardo a seguito della commessa da parte Reale Aeronautica Saudita di 72 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon denominati al Salam. Un colossale, e torbido, affare che vede la Bae System come prime contractor e che fu reso possibile a seguito dell’apposizione del segreto di Stato da parte dell’allora premier britannico Tony Blair che pose fine alle inchieste giudiziarie collegate all’affaire Al Yamamah (la Colomba) in cui era coinvolta l’azienda britannica (e non solo).

NEL DECENNIO SUCCESSIVO (2010-19) le licenze all’export superano i 1,8 miliardi e riguardano soprattutto munizionamento pesante: bombe inerti, bombe attive, bombe Paveway, bombe Blu attive tutte prodotte ed esportate dalla Rwm Italia, l’azienda del gruppo della multinazionale tedesca degli armamenti Rheinmetall, con sede legale a Ghedi (Brescia) e fabbrica a Domusnovas in Sardegna. Tra queste, alla vigilia del conflitto in Yemen, figurano 600 bombe da 2000 libbre Blu 109 attive per un valore di 15, 6 milioni di euro e soprattutto 3.650 bombe MK83 attive da 1000 libbre per oltre 62 milioni. Ordinativi che si sono intensificati soprattutto nel 2016 ma non solo: nel Bilancio d’Esercizio Rwm Italia riportava «nel 2018 ordini in misura superiore alle aspettative» (come, del resto, già negli anni precedenti) e, soprattutto, con Paesi extra-Ue, che rappresentano il 51% dei clienti dell’azienda.

MA A FORNIRE MUNIZIONAMENTO ci sono anche altre aziende come Simmel Difesa (almeno 10 milioni di euro). E nel 2018, per la prima volta, il governo italiano ha autorizzato all’azienda bresciana Beretta l’esportazione ai sauditi di un consistente quantitativo di fucili d’assalto ARX-160, pistole semiautomatiche APX, carabine e fucili per cecchini per un valore di quasi 3 milioni di euro. Sono armi che, oltre che nel conflitto in Yemen, possono essere utilizzate a scopi di repressione interna e la cui esportazione andrebbe interrotta immediatamente.

Sorgente: L’odiosa licenza concessa dal governo Renzi per bombardare scuole e ospedali | il manifesto

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