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L’Italia rischia anche di perdere le risorse Ue destinate alla modernizzazione

di Stefano Folli

Ora che il secondo governo Conte è giunto al suo prevedibile epilogo, evitando la trappola della relazione Bonafede sulla giustizia, si comincia a ragionare su una crisi che non è banale e richiede sbocchi non scontati. Ci si attende che il primo passo consista nel mettere da parte la macchina della propaganda per affrontare in modo realistico un passaggio che non nasce solo dalle intemperanze di Renzi, bensì dalle questioni irrisolte nel rapporto tra Roma e la Commissione europea, dietro la quale come al solito s’intravede il profilo delle due capitali che contano: Berlino e Parigi. Quando si parla di questioni irrisolte ci si riferisce a un tema preciso: il “Recovery plan”, l’inerzia e i ritardi accumulati nel definire i progetti d’investimento, l’agenda delle priorità, la gestione politico-amministrativa dei programmi. È ciò che inquieta l’Europa e mette l’Italia a rischio di perdere una parte delle risorse (in gran parte prestiti) destinate alla modernizzazione. Cioè a riforme strutturali che richiedono una considerevole prova di maturità dei governi e della classe politica. Proprio ciò che è mancato finora e che ha determinato il collasso dell’esecutivo. Renzi è stato il detonatore, ma le cause vanno molto al di là delle ambizioni del senatore toscano.

Non è un caso se Romano Prodi, attento a registrare gli umori di Bruxelles, abbia descritto la situazione con toni angosciati nell’intervista a Repubblica: l’Italia oggi “fa paura all’Europa”. E si capisce: non sembra che nei palazzi romani ci si renda conto di quale sia la posta in gioco. L’impasse italiana rischia di impantanare tutta l’Unione. Se le premesse sono queste, le speranze di Conte di riavere l’incarico, ma soprattutto di poter ricucire una maggioranza intorno a se stesso, sembrano somigliare a un’illusione. Peraltro lo psicodramma può avere diversi sbocchi e per questo si guarda con molto rispetto al presidente Mattarella. Il quale è consapevole che qualcuno magari ha in animo di tentare qualche colpo a sorpresa al fine di mettere in scena entro poche settimane un duello elettorale tra Conte e Salvini dagli esiti ugualmente distruttivi.

È chiaro che le elezioni sono un’eventualità più che legittima da considerare, ma prima Mattarella vorrà esplorare altri sbocchi. Il fatto che il Pd abbia smesso di agitare l’alternativa secca “o Conte o il voto” vuol dire che il capo dello Stato è già all’opera. Gli scenari sono soprattutto due: un governo di nuovo affidato a Conte che trova i “responsabili” finora impalpabili, tiene chiusa la porta a Renzi e si affida a numeri risicati. Tale ipotesi ha perso credibilità. Secondo scenario: si tenta la via di un governo il più possibile di alto profilo, secondo l’indirizzo scelto dal Quirinale anche per corrispondere alle attese dell’Europa. Un simile esecutivo deve fondarsi su una maggioranza solida che non sia la mera riedizione del Conte-2. Quindi Renzi, è ovvio, ma anche altri: i “responsabili”, se ci saranno. Qualcuno spera in Forza Italia, per dare il senso di un’intesa europeista, ma è complicato chiedere a Berlusconi di separarsi da Lega e FdI con cui governa in un gran numero di regioni. Ci potrà essere di tanto in tanto una mano tesa alla maggioranza, ma il dato sottinteso da molti è che Conte lasci Palazzo Chigi. Quindi la domanda è: chi difenderà davvero l’avvocato pugliese, al di là delle garanzie retoriche? Oggi siamo qui. Una crisi in apparenza semplice, in realtà persino drammatica perché non è un evento provinciale. È una crisi che si svolge insieme a Roma e a Bruxelles.

Sorgente: La crisi è a Roma ma pesa in Europa | Rep

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