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In Australia, Israele, Georgia, Macedonia, Messico e Sudafrica e persino nell’Africa subsahariana e in America latina vanno avanti norme per legalizzare o estendere il consumo della marijuana, anche durante l’emergenza Covid. Da noi invece è tutto bloccato da anni

di Marco Perduca

Mentre in Italia il dibattito pubblico ruota attorno al colore delle regioni e crisi di governo, altrove, anche dove la situazione è molto tesa, la politica continua nel suo business as usual – anzi no! Dai primi di novembre è un susseguirsi di decisioni legislative, giurisdizionali e istituzionali che hanno posto la cannabis al centro di misure di “normalizzazione”; sviluppi che lasciano ben sperare per il futuro della pianta e, più in generale, per la libertà di scelta, di accesso alle terapie, d’impresa nonché amministrazione della giustizia.

Negli Usa l’elezione di Biden è stata surclassata percentualmente dalle vittorie referendarie che in Arizona, Montana, New Jersey e South Dakota hanno legalizzato la cannabis per qualsiasi tipo di consumo, mentre il Mississippi è diventato il 35esimo stato a consentirne l’uso terapeutico.

Il 19 novembre, in risposta al ricorso di un’azienda francese, la Corte europea di giustizia ha chiarito che il principio attivo della pianta noto come Cbd non dev’essere trattato come una sostanza stupefacente e che i prodotti che lo contengono possono circolare in Europa anche se un solo membro ne autorizza il commercio.

Il 2 dicembre, con una decisione storica, la Commissione droghe delle Nazioni Unite ha votato per cancellare definitivamente la cannabis dalla tabella che riconosce il potere terapeutico di piante e sostanze sotto controllo internazionale ma ne evidenzia la pericolosità per la salute pubblica. Nel pomeriggio dello stesso giorno la Commissione europea ha chiarito che i prodotti contenenti Cbd frutto di gambi, foglie e fiori della pianta possono essere inseriti nella lista dei novel food (nuovi alimenti) dell’Ue dando il via libera per il loro finanziamento coi fondi della Politica Agricola Comune.

Il 4 dicembre la Camera dei Rappresentanti di Washington ha approvato il “More Act”, una legge che toglie la cannabis dalla tabella nazionale delle droghe pericolose cancellando le sanzioni federali e consentendone vendita e tassazione. Molto probabilmente il Senato non confermerà la riforma, ma si tratta di un chiaro segnale politico visto che prima firmataria è la senatrice Kamala Harris, eletta vicepresidente.

Altrove riforme strutturali sulla cannabis avanzano in Australia, Israele, Georgia, Macedonia, Messico e Sudafrica mentre nell’Africa subsahariana e in America latina molti governi hanno adottato leggi per consentirne la produzione per fini tarapeutici.

E da noi? La proposta di legge d’iniziativa popolare “Legalizziamo” giace alla Camera dei Deputati da oltre quattro anni assieme a un manifesto collettivo recentemente trasformato in bozza di norme. La Commissione giustizia della Camera è bloccata dietro a una proposta leghista di indurire le pene per detenzione e consumo di stupefacenti, anche di piccole quantità, mentre in Commissione agricoltura non si chiariscono le destinazioni d’uso di prodotti a base di Cbd e Thc ri-legalizzati nel 2016.

Un emendamento di Riccardo Magi ha quasi raddoppiato i fondi per l’approvvigionamento di cannabis terapeutica ma senza una radicale riforma dei meccanismi di produzione o acquisto i problemi di reperimento dei prodotti resterà. Girano voci sulla costituzione di un tavolo tecnico sulla cannabis ma non si rintracciano conferme della sua effettiva composizione.

Le decisioni europee e quella dell’Onu sono di fondamentale importanza per la canapa industriale e quella terapeutica. L’Italia ha da tempo regolamentato il settore della canapa – già il (pessimo e redivivo) Testo unico del 1990 conteneva misure su produzione e importazione della terapeutica – questo nuovo clima globale dev’essere sfruttato per rilanciare riforme.

Viste anche l’impatto economico del settore, occorre aprire la produzione della cannabis terapeutica ai privati e semplificarne l’importazione; investire in ricerca e sperimentazioni cliniche e includere la cannabis nei Livelli Essenziali di Assistenza; fare formazioni e informazione a tutti gli operatori coinvolti; definire il catalogo di cosa può essere prodotto industrialmente tenendo conto dell’instabilità delle percentuali dei principi attivi per consolidare un comparto che ha caratteristiche di sostenibilità ambientale.

In attesa di una revisione radicale della legge e delle politiche sulle droghe, occorre chiarire che sanzionare chi coltiva a casa o usa la cannabis casualmente – ma anche tutte le altre sostanze proibite – non è una delle priorità di politica criminale della Repubblica italiana.

* Marco Perduca, ex senatore. Per l’Associazione Coscioni coordina la campagna Legalizziamo! ed è presidente di Science For Democracy

 

Sorgente: In tutto il mondo si approvano leggi per legalizzare la Cannabis. In Italia resta un tabù – l’Espresso

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