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di Ilaria Romeo

Quel giorno a Livorno c’è Antonio Gramsci. E insieme a lui Amadeo Bordiga, Angelo Tasca, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti. Sognano la rivoluzione della classe operaia, discutono il destino del popolo lavoratore italiano. Il loro diventerà il partito di massa per eccellenza

“A Livorno – scrive Catia Sonetti, direttrice dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno – c’è una via nel cuore del vecchio quartiere della Venezia che si chiama via San Marco. Prima della guerra lungo il suo percorso sorgeva un teatro, il Teatro San Marco. Ora in quello che resta, dopo la guerra e i bombardamenti, c’è la sede di un asilo. C’è una lapide in quel luogo dove spesso qualcuno, un nostalgico, mette qualche fiore. Tutti però in città sono affezionati a quel luogo e a quella lapide, anche quelli che, e sono tanti, non hanno mai avuto niente a che fare con il comunismo e con il Partito comunista. Ma tutti ne riconoscono il valore storico e testimoniale perché in quei locali si riunirono dopo essersi separati dal Partito socialista, un gruppo minoritario di persone, tra cui Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Angelo Tasca, Palmiro Togliatti, e per i livornesi illustri, Ilio Barontini. Era il 21 gennaio 1921 e lì nacque il Partito comunista d’Italia che di lì a poco entrerà in clandestinità a causa della vittoria del fascismo”.

Scriveva Antonio Gramsci su L’Ordine nuovo il 13 gennaio 1921:

Il Congresso di Livorno è destinato a diventare uno degli avvenimenti storici più importanti della vita italiana contemporanea. A Livorno sarà finalmente accertato se la classe operaia italiana ha la capacità di esprimere dalle sue file un partito autonomo di classe, sarà finalmente accertato se le esperienze di quattro anni di guerra imperialista e di due anni di agonia delle forze produttive mondiali hanno valso a rendere consapevole la classe operaia italiana della sua missione storica. La classe operaia è classe nazionale e internazionale. Essa deve porsi a capo del popolo lavoratore che lotta per emanciparsi dal giogo del capitalismo industriale e finanziario nazionalmente e internazionalmente. Il compito nazionale della classe operaia è fissato dal processo di sviluppo del capitalismo italiano e dello Stato borghese che ne è l’espressione ufficiale. (…)
Il distacco che avverrà a Livorno tra comunisti e riformisti avrà specialmente questo significato: la classe operaia rivoluzionaria si stacca da quelle correnti degenerate del socialismo che sono imputridite nel parassitismo statale, si stacca da quelle correnti che cercavano di sfruttare la posizione di superiorità del Settentrione sul Mezzogiorno per creare aristocrazie proletarie, che accanto al protezionismo doganale borghese (forma legale del predominio del capitalismo industriale e finanziario sulle altre forze produttive nazionali) avevano creato un protezionismo cooperativo e credevano emancipare la classe operaia alle spalle della maggioranza del popolo lavoratore. I riformisti portano come “esemplare” il socialismo reggiano, vorrebbero far credere che tutta l’Italia e tutto il mondo può diventare una sola grande Reggio Emilia.
La classe operaia rivoluzionaria afferma di ripudiare tali forme spurie di socialismo: l’emancipazione dei lavoratori non può avvenire attraverso il privilegio strappato, per una aristocrazia operaia, col compromesso parlamentare e col ricatto ministeriale; l’emancipazione dei lavoratori può avvenire solo attraverso l’alleanza degli operai industriali del nord e dei contadini poveri del sud per abbattere lo Stato borghese, per fondare lo Stato degli operai e contadini, per costruire un nuovo apparecchio di produzione industriale che serva ai bisogni dell’agricoltura, che serva a industrializzare l’arretrata agricoltura italiana e a elevare quindi il livello del benessere nazionale a profitto delle classi lavoratrici. La rivoluzione operaia italiana e la partecipazione del popolo lavoratore italiano alla vita del mondo non può verificarsi altro che nei quadri della rivoluzione mondiale. Esiste già un germe di Governo mondiale operaio: è il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista uscito dal Secondo Congresso.
L’avanguardia della classe operaia italiana, la Frazione comunista del Partito Socialista, affermerà a Livorno necessaria e imprescindibile la disciplina e la fedeltà al primo governo mondiale della classe operaia: anzi di questo punto farà il punto centrale della discussione al congresso. La classe operaia italiana accetta il massimo di disciplina, perché vuole che tutte le altre classi operaie, nazionali accettino e osservino il massimo di disciplina. (…) Appare evidente così che le questioni che tormentano oggi il Partito Socialista e che saranno definite al Congresso di Livorno non sono mere questioni interne di partito, non sono conflitti personali tra singoli individui. A Livorno si discuterà il destino del popolo lavoratore italiano, a Livorno si inizierà un nuovo periodo nella storia della nazione italiana.

A Livorno nasce il Partito comunista italiano, un “paese nel paese”, come lo definiva Pier Paolo Pasolini, una comunità, oltre che un partito politico. “La storia di un partito politico – scriveva Pajetta – se questo partito è vivo e se ha messo radici nella realtà del Paese, non è soltanto la vicenda di un gruppo dirigente. La sua storia è la storia del Paese stesso, vista da un determinato angolo visuale, vissuto in modo particolare. Quando poi una storia come quella che vogliamo raccontare è la fatica per nascere e affermarsi di un’avanguardia, ricordarla, ricercarne le vie di sviluppo e le cause vuole dire cercare di capire tutto quello che nella vita del Paese c’è stato di progressivo”.

“Abbiamo imparato – affermava Ingrao – anche dagli altri, abbiamo capito, abbiamo corretto? Certo. E molto. Evviva: siamo stati un corpo vivente. Abbiamo avuto anche lentezze e ritardi: errori anche pesanti. Abbiamo faticato a liberarci dal “sovversivismo”. Forse perché nascevamo da gente che da tempo, da troppo tempo, era stata tenuta in ginocchio. E come potremmo scordare che ad aiutarci, a farci alzare in piedi, sono stati questi, Gramsci, Togliatti, Di Vittorio? No, non erano santi: nemmeno Gramsci”.

No, non erano santi, ma ci mancano, mai come adesso, mai come oggi. E nel festeggiare un compleanno di un festeggiato che non c’è più non possiamo fare altro che dire ‘Buon compleanno Pci’, ti abbiamo voluto bene.

Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché
lui esista:
chi era coperto di croste è coperto di piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese africano,
l’analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:
tu che già
vanti tante glorie borghesi e operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli.

Sorgente: 21 gennaio 1921: nasce il Partito Comunista d’Italia – Collettiva

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