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Enrico Marro

Il Consiglio dei ministri di ieri, le cui sorti erano già in bilico per i contrasti nella maggioranza sul Recovery plan, è stato interrotto poco prima delle 17, quando la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha dovuto lasciare la riunione perché positiva al Covid. L’incidente ha concorso a far terminare il consiglio senza che si assumessero decisioni sui punti di scontro, in particolare sulla governance, ovvero chi comanderà e gestirà i flussi di finanziamento che arriveranno in Italia col programma Next generation Eu (209 miliardi di euro tra prestiti e trasferimenti). Scontro che ha indotto Conte ad abbandonare l’idea di regolare la governance con un emendamento alla legge di Bilancio, per un meno rischioso decreto legge che potrebbe essere esaminato nel Consiglio dei ministri, che è stato aggiornato ad oggi.

Sei linee guida

Per ottenere il via libera il premier dovrà superare la contrarietà di Italia viva rispetto alla cabina di regia che Conte vorrebbe formata dallo stesso presidente del consiglio e dai ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd), e dello Sviluppo, Stefano Patuanelli (5 Stelle). Meno problemi ci sono invece sul Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza: 125 pagine dove il governo illustra come intende utilizzare i 209 miliardi, suddivisi su sei priorità: rivoluzione verde; digitalizzazione; infrastrutture; istruzione e ricerca; inclusione sociale; salute. Anche l’approvazione del piano potrebbe però essere rinviata a un Consiglio dei ministri dopo il delicato voto di domani al Senato sulla riforma del Mes, il fondo europeo salva-Stati. Voto sulla base del quale Giuseppe Conte parteciperà al consiglio Ue di giovedì e venerdì a Bruxelles. Vertice al quale i leader europei sperano di arrivare avendo superato il veto di Polonia e Ungheria al bilancio europeo che, di fatto, congelerebbe anche i fondi del Next generation Eu. Per questo la presidenza di turno tedesca ha inviato a Orban e Morawiecki un ultimatum a rimuovere il veto.

 

 

Rivoluzione green

Il Pnrr, afferma Conte nella prefazione, intende rispondere alla domanda: «Che Paese vorremmo tra dieci anni?». Più moderno, più verde e più coeso, è la risposta. La fetta maggiore dei fondi Ue, pari a 74,3 miliardi, andrà al capitolo «Rivoluzione verde», con ben 40,1 miliardi che saranno destinati alla «efficienza energetica e riqualificazione degli edifici», quindi anche alla proroga del superbonus al 110%. Al secondo posto, con 48,7 miliardi troviamo il capitolo «Digitalizzazione», a partire da quella della pubblica amministrazione (10,1 miliardi) mentre 35,5 miliardi andranno all’innovazione 4.0 delle imprese. Segue il capitolo «Infrastrutture» con 27,7 miliardi, di cui 23,6 serviranno per l’alta velocità ferroviaria e la manutenzione stradale 4.0. Al quarto posto «Istruzione e ricerca» con 19,2 miliardi, al quinto «Parità di genere, coesione sociale e territoriale» con 17,1 miliardi e al sesto «Salute» con 9 miliardi. Totale 196 miliardi cui si aggiungono 10,7 miliardi del programma React Eu che, dice il documento, dovrebbero arrivare nel corso del 2021 e verranno utilizzati per le agevolazioni fiscali nel Sud. Infine, finanziamenti residui per qualche miliardo fino appunto a un totale di 209. Il 70% delle risorse verrà «impegnato» entro il 2022 e «speso» entro il 2023, promette il governo.

 

Giustizia e fisco

Tra le riforme più attese ci sono quelle della giustizia, civile e penale, e del fisco, che sarà realizzata con un disegno di legge delega che avrà l’obiettivo di tagliare le tasse, in particolare per i redditi tra 40 e 60 mila euro. Dei 209 miliardi solo la metà circa sarà utilizzata per interventi nuovi, cioè aggiuntivi rispetto a quelli programmati nel bilancio. Il resto, invece, sostituirà risorse nazionali previste nei «tendenziali» di spesa con prestiti e trasferimenti Ue. «Grazie agli effetti espansivi del piano — si legge — a fine periodo di investimento (2026) il Pil risulterebbe più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base».

 

Sorgente: Recovery plan, ecco la bozza del governo. Ma Italia viva non ci sta- Corriere.it

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