0 18 minuti 3 anni

di Davide Frattini, Viviana Mazza e Guido Olimpio
Illustrazioni di Franco Portinari, copertina di Marco Maggioni

Chi era e come è stato ucciso Mohsen Fakhrizadeh
nell’agguato nel novembre 2020 a bordo della sua auto: sospettato il Mossad

L’ultimo giorno di vita di Mohsen Fakhrizadeh inizia a Rostam Kola, località a nord ovest di Teheran. Ha in programma di raggiungere Absard, a circa 230 chilometri, nonostante che il capo scorta lo abbia avvisato di una segnalazione di pericolo. Lo scienziato ha deciso di andare lo stesso. Con lui ci sono la moglie e undici guardie dell’unità speciale Ansar-ol-Mahdi distribuiti in un convoglio di 3-4 auto.Lo scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh

Alle 14.30 sono a Absard, lasciano la Firuzkuh Road e svoltano nella Absard Road, arteria ampia che permette di procedere veloci, con poche abitazioni nelle vicinanze. È il teatro dell’agguato, seguito da ricostruzioni diverse

La Nissan di Mohsen Fakhrizadeh: si notano i fori dei proiettili lato guidatore nella foto a destra; e a sinistra in alto i possibili fori d’uscita dei proiettili. In basso a sinistra i resti del pick-up distrutto dall’esplosione

Riavviamo il «nastro» partendo dalla prima, lanciata da un giornalista iraniano residente a Londra. A metà strada, parcheggiato sul lato destro c’è un pick-up carico di legna. Una trappola. Esplode al passaggio del primo mezzo, costringe il convoglio a fermarsi. Spuntano i sicari, una dozzina, compresi due tiratori scelti, arrivati su una Santa Fe e in moto. Gli agenti reagiscono, uno usa il suo corpo come scudo. Le autorità diranno inizialmente che è deceduto, poi sostengono che è ferito grave. Non ha scampo il padre dell’atomica iraniana, raggiunto — preciserà in seguito uno dei figli — da 4 o 5 proiettili «speciali» sparati da distanza ravvicinata. Il magazine israeliano Mishpaca non esclude neppure che gli attentatori possano aver infranto il lunotto del finestrino posteriore sinistro per poi sparare all’interno della Nissan contro il bersaglio. Lo portano comunque nell’ospedale di zona e poi lo trasferiscono in elicottero. Un testimone, un camionista arrivato nel momento dell’attacco e intervistato dalla tv, conferma la sequenza: esplosione, raffiche, una mezza dozzina di attentatori (non l’esercito di tiratori descritto dal giornalista). Infine un dettaglio. Nella zona sarebbe saltata la corrente elettrica, black out verificatosi attorno alle 14 e attribuito ad un sabotaggio del team d’assalto mentre per altri è stato causato dalla deflagrazione del pick-up che avrebbe distrutto un pilone della luce.La zona dell’attacco cosparsa di rottami del camioncino

La seconda ricostruzione— con il timbro dell’ufficialità — scompagina tutto, anche se non è priva di confusione. L’auto della scorta è in avanscoperta, risuona un rumore sordo. Un oggetto (o proiettile) — scrive la ancora rivista israeliana Mishpaca — potrebbe aver danneggiato il parabrezza della Nissan dello scienziato. Che ordina all’autista di fermarsi e scende dalla vettura blindata con al fianco un agente. Un’imprudenza. Appena fuori è falciato dalle raffiche di un’arma automatica piazzata su un pick-up fermo a 10-15 metri, secondo altri più distante (150 metri). «Era radiocomandata, via satellite», spiega il segretario per il consiglio della sicurezza Shamkhani. Ha sparato 13 proiettili — aggiunge il numero due dei Pasdaran — era dotata di un sistema per il riconoscimento facciale e intelligenza artificiale. Gli assassini invisibili distruggono con una carica il camioncino, restano i rottami, compresi pezzi di armi israeliane (sempre tesi ufficiale). Gli esecutori sarebbero scappati in direzione di Teheran — affermano dei report — e sulla 79 verso nord. Mohsen Rezai, alto esponente della nomenklatura, introduce una variante: «Hanno utilizzato uno strumento da guerra in dotazione alla Nato, con mirino laser e provvisto di silenziatore, per questo le guardie non hanno sentito gli spari». Una missione completata in tre minuti, attribuita al Mossad e complici interni, membri del movimento d’opposizione Mujaheddin Khalq ma anche separatisti arabi dell’Ahwaz. Le indagini scoprono che il proprietario del pick-up è scappato all’estero alla fine di ottobre. L’8 dicembre sono annunciati degli arresti di persone coinvolte — su più livelli — nell’operazione. Martedì comunicano l’identificazione di tutti i colpevoli. Dunque c’erano presenze fisiche e non solo macchine-robot.Un fucile d’assalto guidato in remoto e prodotto da Israele

La narrazione non chiude il cerchio, infuria la lotta dei lunghi coltelli. Vi partecipano elementi del dissenso, degli apparati di sicurezza, politici riformisti e radicali. La storia della mitragliatrice radiocomandata è giudicata da alcuni un tentativo dei Guardiani della Rivoluzione di giustificare il fallimento nella protezione. I loro rivali dell’intelligence li incalzano: vi avevamo avvertiti, sapevamo anche del posto esatto dove sarebbe avvenuta l’imboscata. Ma se è davvero così sembra strano che non abbiano imposto al personaggio di cambiare programma. Gli iraniani hanno già sofferto la perdita di altri scienziati, eliminati in attentati, dunque sono consapevoli dei rischi. Forse Fakhrizadeh è stato pedinato durante le sue visite di lavoro e non tutti sono certi dei suoi spostamenti nell’ultimo giorno.Una scena dal film The Jackal dove compare una mitragliatrice radiocomandata. Anche nella serie Breaking Bad appare una mitragliatrice radiocomandata sistemata su un’auto

Corrono i veleni, le voci sulla vita privata, spesso rilanciate dagli esuli e riprese da chi vuole trarre vantaggi. C’è il sospetto di una talpa, dall’estero insinuano su strani giri di affari e presenze inopportune. La famiglia risponde ricordando che è morto da martire e sottolinea che al suo fianco c’era la moglie: sul viso aveva i segni lasciati da frammenti di vetro. Sul web esperti fanno il lavoro della Scientifica, con grafici e proiezioni, un’indagine pubblica. I «tecnici» non escludono a priori che i killer abbiano usato il metodo in remoto, gli stessi israeliani ne hanno sviluppato alcuni. Altri sembrano scettici, ritengono che siano solo manovre per nascondere l’imbarazzo per una sconfitta. Oppure la verità è nel mezzo, con qualcosa che ha colto di sorpresa le guardie nonostante gli allarmi della vigilia. Non manca neppure l’ironia graffiante da un account conservatore iraniano: «È più semplice dire che la Tesla ha fabbricato la Nissan. Ha guidato da sola, ha parcheggiato da sola, ha sparato da sola e si è fatta esplodere». Giudizi animati dallo scontro in un Paese perennemente sotto assedio e segnato da intrighi.

L’auto dello scienziato iraniano Ahmadi Roshan ucciso in un agguato l’11 gennaio 2012.L’auto dello scienziato iraniano Ahmadi Roshan ucciso in un agguato l’11 gennaio 2012.

L’incontro nel deserto

Il percorso dell’aereo del premier Netanyahu da Tel Aviv all’Arabia Saudita, monitorato da Avi Scharf, giornalista del quotidiano israeliano Haaretz

T7-CPX. La sigla identifica il Gulfstream usato dal primo ministro per le missioni private che dovrebbero rimanere private. Decolla alle 19.30 dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, atterra a Neom, cinquanta chilometri di deserto che galleggiano in mezzo al Mar Rosso. Il primo ad accorgersi della rotta inusuale è un giornalista del quotidiano israeliano Haaretz: Avi Scharf è un flight tracker, uno degli appassionati che monitorano via Internet i voli nei cieli di tutto il mondo, e rilancia via Twitter lo stupore per quel collegamento tra due Paesi nemici.

Neom è una metropoli che ancora non c’è: il nome viene dalla combinazione di neo (nuovo) e la parola araba mustaqbal, futuro. Mohammed Bin Salman, il principe ereditario saudita, lo considera il suo regalo all’umanità: «Un salto di civilizzazione», un balzo dal costo di qualche miliardo di dollari che sarà gestito dall’intelligenza artificiale per competere con i grattacieli di Dubai. Per ora sono pochi palazzi piantati sulla terra ocra, più set polveroso di Blade Runner che slancio evolutivo. Quel 23 novembre l’aereo da quattordici posti resta sulla pista per quattro ore. Abbastanza perché Benjamin Netanyahu, Mike Pompeo e il principe possano discutere delle possibili alleanze da lì a qualche mese e delle possibili mosse da lì a qualche giorno.Gli israeliani e gli americani confermano l’incontro, i sauditi smentiscono: a quanto pare per loro è ancora troppo presto per ufficializzare una relazione che in questi anni è rimasta clandestina. Il viaggio è diplomatico-militare ma il premier israeliano non sceglie di portare con sé Benny Gantz, suo vice e ministro della Difesa, o Gaby Ashkenazi, il ministro degli Esteri: sono soci nella coalizione di governo, restano avversari politici con Israele da due anni in campagna elettorale permanente. Al suo fianco c’è invece Yossi Cohen, il capo del Mossad, uno degli uomini che il leader della destra al potere considera più fidati fino al punto di averlo indicato come un possibile successore. In questi mesi Cohen ha accumulato miglia volando tra le nazioni del Golfo e «ha sostituito il ruolo del ministero degli Esteri nei teatri più strategici e nelle trattative con i Paesi sunniti», scrive il giornale Times of Israel. Eppure la sua presenza a Neom — fanno notare gli analisti ­­­— si spiega di più se il colloquio non ha toccato solo un patto di normalizzazione con l’Arabia Saudita, come quelli firmati con gli Emirati Arabi e il Bahrein, ma anche il rafforzamento del fronte comune contro l’espansionismo iraniano.

Nell’aprile 2018 il premier israeliano Netanyahu cita in modo esplicito lo scienziato iraniano e dirà: tenete a mente il suo nomeNell’aprile 2018 il premier israeliano Netanyahu cita in modo esplicito lo scienziato iraniano e dirà: tenete a mente il suo nome

Cohen ha un profilo diverso dai boss che lo hanno preceduto alla guida dell’Istituto. Più pubblico, meno segreto: quando nel 2018 Netanyahu annuncia che gli agenti del Mossad sono riusciti a recuperare i dossier del programma nucleare iraniano in un raid notturno dalle parti di Teheran, ai reporter israeliani arriva la conferma da fonti anonime che l’operazione sia stata pilotata da Cohen stesso. Il colpo di intelligence è presentato dal primo ministro con un colpo di teatro in diretta mondiale: con un gesto sfila come un mago il drappo nero che nasconde i faldoni dell’archivio e illustra documento dopo documento i piani del progetto Amad (Speranza). Soprattutto ne identifica quello che i servizi israeliani considerano il capo e promotore: Mohsen Fakhrizadeh.Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il capo del Mossad Yossi Cohen

Cohen arriva al vertice, dopo anni da operativo, con la promessa a Netanyahu di ri-instillare negli 007 ai suoi ordini la spavalderia per i piani audaci e soprattutto di evitare imbarazzi spionistici come quello di dieci anni fa: undici degli agenti nella squadra spedita in un hotel di Dubai a uccidere Mahmoud al Mabhouh, considerato il trafficante d’armi in capo per Hamas, erano stati compromessi dopo l’omicidio dalle telecamere di sorveglianza e dagli scan biometrici delle retine, presi all’aeroporto e condivisi dai poliziotti emiratini con l’Interpol. È lo stesso Cohen a spiegare queste nuove sfide tecnologiche, ancora una volta in pubblico, a un convegno per imprenditori e investitori: «A voi quella roba di Instagram può sembrare divertente, che il vostro cellulare sia in grado di identificare una persona attraverso un quadratino giallo attorno alla testa. A noi rende le missioni ancora più pericolose». Così — spiega il quotidiano Haaretz in una lunga inchiesta — decide di cambiare il modus operandi: il Mossad sotto di lui usa sempre meno operativi israeliani negli interventi all’estero e preferisce coordinare piccoli gruppi di mercenari internazionali, ognuno incaricato di eseguire un pezzo del piano e ignaro di quello che stanno facendo gli altri. Le stesse tattiche con cui sarebbe stato ucciso Fakhrizadeh.

La centrale per l’arricchimento dell’uranio di Natanz, in Iran, danneggiata da un attacco la scorsa estateLa centrale per l’arricchimento dell’uranio di Natanz, in Iran, danneggiata da un attacco la scorsa estate

È ancora possibile il dialogo tra Iran e Stati Uniti?

Il premier iraniano Rouhani con Fakrhizadeh e, alle sue spalle, Ali Abkar Salehi, attuale capo dell’agenzia atomica iraniana, molto amico dello scienziato

Natanyahu non è stato il primo a puntare i riflettori su Mohsen Fakhrizadeh. Nel 2007 fu uno degli otto scienziati iraniani posti sotto sanzioni dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il programma nucleare. Era identificato con il titolo di scienziato senior del ministero della Difesa e della Logistica delle Forze armate ed ex capo del centro di ricerca di Fisica. Nello stesso anno l’intelligence Usa dichiarò in un rapporto: «Crediamo fermamente che il programma di armamenti nucleari di Teheran sia stato sospeso nell’autunno del 2003». Nel libro The Iran Wars, il giornalista del Wall Street Journal Jay Solomon racconta che gli Stati Uniti raggiunsero quella conclusione dopo aver intercettato email e telefonate di Fakhrizadeh, sospettato di essere negli anni Novanta il capo del programma per lo sviluppo di armamenti nucleari, ovvero di un possibile passaggio dalla ricerca civile a una testata atomica. Apparentemente, lo scienziato si lamentava perché gli avevano tagliato i fondi. Poco dopo l’accordo sul nucleare del 2015 con cui l’Iran accettò di congelare il suo programma in cambio della rimozione di sanzioni internazionali, il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Yukio Amano, che si trovava in Iran per le attività di monitoraggio previste dall’intesa, chiese di incontrare Fakhrizadeh. Il Wall Street Journal scrisse che l’Aiea sospettava che continuasse a condurre ricerche sullo sviluppo di armi nucleari, con altri ex colleghi, in un nuovo centro nel nord di Teheran. Le richieste vennero respinte. Tuttavia gli ispettori dell’Onu conclusero nei loro rapporti che l’Iran stava rispettando l’intesa del 2015.

Nei media occidentali Fakrhrizadeh viene paragonato all’americano Robert Oppenheimer, ma l’Iran non ha sviluppato finora una testata atomica. La Repubblica Islamica ha sempre negato l’esistenza di un programma di armamenti nucleari e afferma che gli scopi sono puramente civili.

Fakrhizadeh manteneva un basso profilo. Aveva 60 anni, una moglie e figli. A 18 o 19 anni aveva assistito alla Rivoluzione e al rovesciamento dello Scià, si era arruolato nei Guardiani della Rivoluzione, combattendo contro l’Iraq tra il 1980 e il 1988. Negli ultimi anni però le sue apparizioni erano diventate più frequenti, veniva fotografato ad eventi con la Guida Suprema Ali Khamenei, che dopo la morte lo ha definito «uno dei più importanti scienziati nei campi del nucleare e della difesa», mentre l’ambasciatore iraniano all’Onu Majid Takht Ravanchi ha sottolineato che aveva ideato un test per il Covid-19 e stava lavorando al vaccino. In una foto circolata dopo l’assassinio, si vede Fakhrizadeh ricevere un riconoscimento dal presidente Hassan Rouhani per il raggiungimento dell’accordo con gli Stati Uniti e le altre grandi potenze. Ma in quello stesso giorno è stato diffuso anche un audio inedito in cui si sentiva Fakhrizadeh dubitare dell’intesa: «Non possiamo fare compromessi con l’America». Sia i conservatori che i moderati rivendicano il martire come «uno dei loro».

I familiari davanti al feretro di Mohsen FakhrizadehI familiari davanti al feretro di Mohsen Fakhrizadeh

Molti in patria lo paragonano al generale Qassem Soleimani, ucciso dagli americani in Iraq il 3 gennaio 2020. Al funerale dello scienziato, fiori e immagini di Soleimani circondavano la bara. Ed è entro l’anniversario dell’assassinio di Soleimani che gli esperti occidentali si aspettano una rappresaglia. Gli analisti vicini alla nuova Amministrazione Usa considerano l’attentato come il tentativo di Israele, con l’appoggio dell’Amministrazione Trump dei sauditi, di ostacolare il ritorno all’accordo del 2015, promesso da Joe Biden dopo l’abbandono unilaterale del suo predecessore. L’1 dicembre il parlamento dominato dai conservatori — che puntano alla presidenza nelle prossime elezioni del 18 giugno — ha approvato una legge per l’aumento immediato dell’arricchimento dell’uranio al 20% e lo stop al monitoraggio dei siti nucleari dell’Aiea dal febbraio 2021. Resteranno così solo pochi giorni a Rouhani per negoziare con l’Amministrazione Biden che si insedierà il 20 gennaio, anche se il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha assicurato — al forum Med, organizzato da Farnesina e Ispi — che il dialogo è ancora possibile e che la nuova legge non impedirà di salvare l’accordo, se gli Stati Uniti tornano a rispettarlo. Zarif ha chiesto ai Paesi della regione — alcuni dei quali, come Emirati e Giordania, hanno condannato l’assassinio unendosi all’Ue che lo ha definito un «atto criminale» — di considerare seriamente se vogliono essere «trascinati» da Israele in una guerra.Un poster dedicato ai tre «martiri»: a destra Fakhrizadeh, al centro il capo delle milizie sciite irachene Abu Mahdi al Muhandis e a sinistra il generale iraniano Qasem Soleimani, entrambi uccisi da un drone Usa in Iraq

All’inizio del 2020, gli iraniani preferirono evitare una vera escalation, rispondendo con una rappresaglia militare limitata dopo l’uccisione del generale Soleimani. Il 2020 volge alla fine e, di nuovo, la tensione è altissima.

Sorgente: L’incontro nel deserto e il killer robot: ecco le ultime ore dello scienziato nucleare iraniano

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