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Covid. I dati del ventunesimo rapporto Rota

Mauro Ravarino

È stato uno «spiazzamento collettivo». L’area torinese e il Piemonte sono, però, arrivati all’inizio della pandemia da Coronavirus con una dotazione del sistema sanitario medio-bassa rispetto ad altri contesti metropolitani, in termini di posti letto (in particolare per le terapie intensive), di personale medico e di copertura vaccinale anti-influenzale.

Così il Rapporto Rota 2020 su Torino. Quella che viene considerata come la più autorevole e attesa indagine annuale cittadina, elaborata dal Centro Einaudi, fotografa l’impatto della pandemia sulla città e il territorio circostante. Nemmeno le correzioni in corsa sono state virtuose. La macchina dell’emergenza si è sviluppata regionalmente in modo abbastanza caotico: l’Unità di crisi è stata creata, riformata e commissariata. La sanità piemontese, riporta il Rapporto Rota, viene da anni di tagli – dovuti a «piani di rientro» dal deficit – che hanno depauperato il sistema, la sua efficienza e competitività, specie per rapporto alle altre regioni italiane, in particolare settentrionali.

Nel 2018, il Piemonte era all’ottavo posto tra le tredici regioni più grandi (ultimo tra quelle del Nord) per tasso di copertura dell’assistenza domiciliare integrata, e all’ultimo posto per posti letto in terapia intensiva (in rapporto alla popolazione residente), al quartultimo per dotazione di ventilatori polmonari (peggio solo Puglia, Campania e Calabria). Torino, rispetto alle quindici città metropolitane italiane, è al settimo posto per rapporto posti letto/abitanti, al nono posto per tasso di utilizzo degli stessi, all’ottavo per infermieri, al decimo per medici e al quattordicesimo per pediatri (fonte: Health for all).

I dati raccolti a livello internazionale rivelano una corrispondenza tra un’elevata capacità di effettuare tamponi/test e una bassa mortalità (si va dalle carenze di Francia e Belgio all’efficienza di Lituania e Grecia). Il Piemonte ha avviato il sistema di rilevamento in ritardo: ad aprile era solo al dodicesimo posto tra le regioni italiane per numero di tamponi effettuati in rapporto alla popolazione residente, poi ha intensificato gli sforzi e recuperato terreno (terzo a fine maggio), per scivolare di nuovo in basso: nono a luglio, decimo a settembre, quattordicesimo ai primi di novembre, seguito solo dalle regioni del Sud.

Il Rapporto Rota, presentato sabato, si intitola «Ripartire», per capire, appunto, cosa fare quando lo stato di emergenza sarà superato o come adattarsi se dovesse protrarsi. Negli ultimi cinque anni a Torino il tasso di natalità si è ridotto in misura più che nelle altre aree metropolitane, senza che le perdite venissero compensate dai flussi migratori. Il risultato è un progressivo invecchiamento della popolazione e una graduale diminuzione di consistenza della fascia d’età lavorativa: a livello metropolitano, in Italia solo a Genova e Trieste l’età media è più alta che a Torino. Ciò rende l’area maggiormente esposta agli effetti più letali della pandemia. Una condizione che fa emergere il concetto di sindemia, ovvero la contemporanea presenza di malattie croniche e conseguenze Covid, che allargano il divario sociale.

Dal punto di vista della crescita della mortalità, l’impatto della pandemia è stato pesante nella città metropolitana di Torino, sebbene su livelli inferiori rispetto a quelli delle province lombarde: +42% a marzo e +68% ad aprile (nel capoluogo piemontese leggermente superiori +49% e +73%).

(fotografia da web)

Sorgente: ilmanifesto.it

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