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Voli cancellati, traghetti fermi ed Eurotunnel chiuso a causa della variante inglese del virus. Il premier britannico rassicura: «Le nostre scorte sono robuste», ma anche la destra Tory lo attacca: sapeva della mutazione già a settembre

Leonardo Clausi

In una conferenza stampa alle diciassette in punto di ieri a Downing Street – con il ministro dei trasporti Grant Shapps e il Chief scientific advisor Patrick Vallance – Boris Johnson ha cercato di rassicurare i connazionali sul cordone sanitario strettosi attorno alla Gran Bretagna. Voli cancellati, traghetti fermi e l’Eurotunnel chiuso causa variante Covid non erano che alcune delle questioni toccate dal premier, mentre la deriva delle isole britanniche dall’Europa si sdoppiava diabolicamente, aggiungendo alla questione politica (Brexit) la fiammata dell’emergenza sanitaria. Vallance ha confermato l’esistenza della variante mutata del virus più o meno in tutto il paese. Finora le persone vaccinate sono circa 500mila.

I paesi accodatisi a Germania, Italia, Olanda, Belgio, Austria, Irlanda e Bulgaria nel chiudere le loro frontiere a chiunque provenga dal Regno Unito sono oltre quaranta, ma il blocco a Dover è il problema più urgente. Johnson, che al mattino aveva presieduto un meeting Cobra per fronteggiare l’emergenza, ha detto di avere avuto un’«ottima conversazione» con il Covid-convalescente Emmanuel Macron, il quale ha ribadito il proprio impegno a riaprire Calais anche in una manciata di ore.
Non andate in Kent dunque, e soprattutto non fate incetta di generi alimentari, le scorte sono sufficienti ha rassicurato il premier, aggiungendo che dai circa 10mila autoarticolati che transitano quotidianamente per Dover in questo periodo arriva solo il 20% delle importazioni nazionali di derrate alimentari. La Francia lavora alacremente per introdurre un sistema di testing per riaprire quanto prima il flusso alle centinaia di camionisti stranieri bloccati in parcheggi di fortuna (quello ufficiale, 4mila posti, dell’aeroporto militare di Manston non è ancora pronto per maltempo), mentre quelli britannici fanno una laboriosa quanto esasperante marcia indietro da Dover.

Al danno logistico della chiusura dei porti si somma per Johnson quello politico della destra xenofoba di Farage, subito saltata a denunciare l’atteggiamento punitivo e vendicativo della Francia nei confronti dell’ex-partner britannico. In cima al mondo appena un anno fa, ormai Johnson barcolla di crisi in crisi. L’ultima è questo Natale: prima rilassato nelle misure antipandemia, poi sparito in un nuovo lockdown proprio mentre milioni di cittadini stavano organizzandosi per le festività in famiglia. Corollario la fuga in massa da Londra di decine di migliaia di lavoratori che sabato notte hanno invaso le stazioni ferroviarie, rendendole potenziali teatri di super-contagio dopo che il governo aveva annunciato l’avvento di un Tier 4, un quarto livello di sicurezza aggiunto dal nulla ai tre già esistenti. In tutto e per tutto un lockdown se non nel nome, sotto il quale vivono, tra la popolazione di Londra e quella del sudest del paese, diciotto milioni di persone. Simili le condizioni in Galles, mentre la Scozia e l’Irlanda del Nord vi faranno ingresso il prossimo 26 dicembre. Anche se le misure restrittive sono soggette a revisione da parte del governo ogni due settimane e la prossima sarà il 30 dicembre, si stima che il lockdown duro possa durare almeno un paio di mesi.

Proprio su questa – purtroppo – ragionevole prospettiva si innesta l’ennesimo problema per Johnson, l’ottimista inguaribile che mesi fa diceva che «a Natale sarà tutto finito». La destra tory sostiene che il leader sapesse della dannata variante già a settembre, e che ne abbia taciuto apposta per usare i poteri di emergenza di cui dispone per evitare un voto sul lockdown che avrebbe rischiato di perdere. C’è poi l’amena scadenza Brexit che entra nel vivo, o sarebbe meglio dire nel non-morto: i due contendenti sono rimasti fermi alle questioni pescato/competitività e sembrano avviarsi mano nella mano verso un futuro fatto di regole del Wto e di battaglie di pescherecci nella Manica. Johnson ha ripetutamente rifiutato appelli provenienti finora non solo da Nicola Sturgeon e Sadiq Khan ma anche dai moderati del suo stesso partito affinché prolunghi nuovamente l’ormai slabbrata scadenza per discutere un accordo di scambio commerciale finora eluso politicamente da entrambe le parti più che loro sfuggito. Il leader laburista Starmer non si è unito a simili esortazioni: purché Johnson porti a casa l’accordo.

 

Sorgente: Johnson isolato, incubo scaffali vuoti a Londra | il manifesto

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