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L’uccisione del Beatle, per mano di un fan ossessionato, ci colpisce come quello di nessun altro. Per svariati motivi, a partire da quella morte assurda

di Beppe Severgnini

John Lennon è stato ucciso con quattro colpi di pistola alle spalle, sparati da una distanza di circa tre metri, davanti al Dakota Building, nell’Upper West Side di Manhattan, lunedì 8 dicembre 1980 alle ore 22:50. Il giorno dopo avrebbe compiuto quarant’anni. Il suo assassino, Mark David Chapman, ne aveva venticinque. Nato in Texas, cresciuto in Georgia, lavorava come guardia alle Hawaii. Soffriva di disturbi psichiatrici, era ossessionato dai Beatles, da John Lennon e dal romanzo «Il giovane Holden» di J.D. Salinger. Dopo aver sparato, s’è messo a leggerlo, aspettando l’arrivo della polizia. Poche altre vicende legate a un artista hanno colpito tantol’immaginario collettivo. Il numero di libri e rievocazioni, con il passare degli anni, non diminuisce: aumenta. Ci dev’essere una spiegazione. Forse più di una.

John Lennon, 40 anni dalla sua morte: il racconto del suo ultimo giorno
Un lunedì ricco di impegni

La prima:John Lennon è la prima rockstar a morire in quel modo, ricorda Massimo Cotto, storico del rock. Altri hanno conosciuto morti premature, misteriose o drammatiche. Pensate a Brian Jones (1969), Jimi Hendrix (1970), Jim Morrison (1971), Elvis Presley (1977), Freddie Mercury (1991), Kurt Cobain (1994), Amy Whitehouse (2011), Prince (2016). Ma, come racconta Ezio Guaitamacchi in «Amore, Morte e Rock ‘n’ Roll» (Hoepli), si trattava di suicidi o incidenti.L’uso di un’arma da fuoco, la dinamica dell’agguato e la figura dell’attentatore hanno avvicinato la vicenda di John Lennon a quella di personalità politiche o religiose, vittime di attentati: John F. Kennedy (1963), Robert Kennedy (1968), Papa Giovanni Paolo II e Ronald Reagan (entrambi nel 1981).

Una seconda spiegazioneè legata all’enorme popolarità dei Beatles, la band più influente del Ventesimo secolo. La rapida dissoluzione, tra il 1969 e il 1970, ha impedito al gruppo di rovinare la propria leggenda. I due talenti più evidenti erano John Lennon e Paul McCartney, ma solo il primo — da solista — ha composto e cantato un brano indelebile come «Imagine» (1971). Non soltanto una canzone mozzafiato, ma il manifesto di un’utopia. Nella colonna sonora mentale di chi sogna un mondo migliore, «Imagine» c’è sempre, e meritatamente.

Una terza spiegazione deriva dall’immagine pubblica di Lennon. La lezione appresa di Yoko Ono — spesso sottovalutata — ha consentito all’ex Beatle di annusare i tempi nuovi e rappresentarli. Quando l’ispirazione si è ridotta, il musicista ha lasciato spazio all’artista concettuale e all’attivista politico. Il Bed-In del 1969 — una protesta contro la guerra in Vietnam, dal letto di casa! — è geniale. Leggete «All We Are Saying» (Einaudi, 2020), l’ultima intervista a John Lennon e Yoko Ono, scritta da David Seff e pubblicata due giorni prima dell’omicidio. La consapevolezza della coppia, e la sua delicata follia, sono evidenti.

Una quarta spiegazione è connessa alla vita personale dell’ex Beatle. Dopo essere stato scaricato da Yoko Ono — stanca di essere «la signora Lennon» — John vola a Los Angeles. Quel periodo, ricordato come «The Lost Weekend», il weekend perduto, dura ben più a lungo: un anno e mezzo, tra l’estate 1973 e l’inizio del 1975. Periodo creativo (esce «Mind Games»), sentimentalmente vivace (John fa coppia con May Pang), pieno di eccessi alcolici e chimici. Quando Yoko se lo riprende, John decide di non diventare «lo stereotipo di se stesso» (parole sue), ma di trasformarsi in un uomo di casa, occuparsi a tempo pieno del figlio Sean e lasciare la conduzione degli affari di famiglia alla moglie.

Non si limita a dirlo: lo fa. Questa allegra, feroce coerenza è documentata nell’album «Double Fantasy» (1980). Le canzoni sono dichiarazioni d’intenti: «(Just Like) Starting Over» (Proprio come ricominciare), «Cleanup Time» (Tempo di pulizie), «Moving On» (Andare avanti), «Beautiful Boy» dedicata al figlio Sean, «Dear Yoko» e soprattutto «Watching the Wheels». Le rotelle che Lennon osserva sono quelle che fanno girare il mondo esterno, legato alla carriera e al successo. «I’m just sitting here watching the wheels go round and round I really love to watch them roll No longer riding on the merry-go-round I just had to let it go». «Me ne sto qui seduto a guardare le ruote che girano intorno Mi piace davvero vederle ruotare Non essere più sulla giostra Dovevo proprio lasciarla andare».

Molti pensano — in seguito a una crisi personale o una delusione di lavoro — di mollare tutto, e si cullano in questa fantasia. John Lennon, come abbiamo detto, lo ha fatto. Per cinque anni è rimasto a osservare le ruote che facevano girare il suo mondo, artistico e professionale. Quando sembrava pronto a rientrarvi, si sono fermate le ruote della sua vita. A quarant’anni. 8 dicembre 1980. Quarant’anni fa oggi.

PS Una nota personale. Ho incontrato per la prima volta Indro Montanelli il 19 dicembre 1980, undici giorni dopo l’attentato. Mi ha suggerito un racconto sul processo alla Banda dei Quattro a Pechino; gli ho proposto un pezzo su John Lennon. Alla fine, li ho scritti tutt’e due.

Sorgente: John Lennon, 40 anni fa l’assassinio: quattro ragioni per cui non riusciamo a dimenticarlo

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