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Vogliono dire la loro sui fondi europei. Contestano l’idea di una cabina di regia di esperti che faccia capo al governo. Minacciano addirittura una crisi di governo, forse nel momento storico più tragico che l’Europa abbia avuto dal dopoguerra in poi. Sto parlando, soprattutto, di Matteo Salvini e Matteo Renzi, ma neanche il Pd, purtroppo, è escluso da questo gioco al massacro, se è vero che non fa altro che parlare di un presunto necessario “rilancio” del governo, che niente davvero significa se non il solito desiderio di potere e di contare di più.

L’intera discussione potrebbe avere un senso se i partiti che stanno chiedendo di mettere le mani sui fondi per la transizione verde e la ricostruzione fossero partiti normali. Ovvero persone elette con un sistema elettorale che premia le competenze, persone laureate, formate, esperte dei problemi che bisognerà affrontare e risolvere con quei fondi, come quello, enorme del cambiamento climatico e della decarbonizzazione della nostra economia.

E invece chi abbiamo di fronte? Gente non solo spesso non laureata, non solo spesso priva di competenze ma che, addirittura, rispetto al tema più importante legato al Recovery Fund, ovvero il cambiamento climatico e la decarbonizzazione, a cui dovrà essere dedicato quasi il 40% dei fondi, non solo non sanno né hanno fatto nulla (vedi Renzi) ma addirittura sono stati negazionisti del clima e detrattori di Greta Thunberg fino a ieri (vedi Salvini). Dico fino a ieri perché ho sentito negli ultimi giorni sempre Salvini balbettare ogni tanto la parola “ambiente“.

Deve aver capito che c’entra qualcosa col Recovery Fund e che quindi gli conviene far finta di esserne interessato, ma forse dimentica che il suo partito in Europa ha sempre vergognosamente votato contro l’innalzamento dei tetti di riduzione delle emissioni (e in generale contro le leggi di contrasto al cambiamento climatico).

Quanto a Renzi, basti ricordare che si è opposto ad una fondamentale e necessaria plastic tax, mentre la sua ministra Teresa Bellanova ha approvato ed esaltato la nuova Pac, politica agricola comune, che è stata pesantemente criticata da tutte le associazioni ambientaliste, perché ancora favore di agricoltura e allevamenti intensivi.

Non va molto meglio con il Partito Democratico, che pure ha competenze maggiori, anche in ambito ambientale e climatico. Ma che comunque continua ad avere dei leader, vedi Nicola Zingaretti, che quando si tratta di discutere del contrasto al riscaldamento globale balbettano, e al massimo arrivano genericamente a parlare di “crescita verde”, senza sapere neanche bene cosa sia, e dell’importanza generica dell’ambiente, un po’ come un tempo esaltavano i giovani (dal “youngwashing“, al “greenwashing“).

Non è senza colpe anche il Movimento 5Stelle, nato con un’anima ecologista fortissima smarritasi evidentemente nel tempo, se è vero in Europa proprio di recente altri quattro parlamentari eletti con il Movimento sono confluiti nella coalizione verde, stanchi di vedere ignorati temi fondamentali come, anche, il contrasto al cambiamento climatico.

Ma insomma davvero: come pensiamo che questa gente, specie l’asse Salvini-Renzi, possa prendere in mano e gestire 209 miliardi di euro facendo davvero le cose giuste? Soldi che sono fondamentali per salvare il nostro paese e che probabilmente rappresentano l’ultima chance diventare finalmente un paese moderno? Che senso ha chiedere collegialità quando è del tutto evidente che sia a Salvini che a Renzi del bene comune (vedi lotta al cima necessaria per la sopravvivenza di noi tutti), non importa nulla (d’altronde, non sanno neanche di che si tratta)?

Di fronte a un simile spettacolo, di fronte al rischio che i partiti facciano un vero e proprio assalto alla diligenza ai fondi europei, fa benissimo Giuseppe Conte a blindare la gestione di questi fondi e delegarla a una cabina di regia di esperti. Se i partiti sono questi, non c’è altra alternativa. Altro che collegialità.

Qualche rischio, ovviamente, c’è, anche se sempre minore alla devastazione che una classe politica di basso livello potrebbe causare mettendo le mani sui fondi. E cioè che si nominino manager ed esperti scelta più per la loro notorietà e potere che invece alcuni tra le migliaia di eccellenti esperti, ad esempio in ambito energetico, ambientale, climatico, che il nostro paese offre: dal mondo delle università a quello, ricchissimo, delle associazioni, che dovrebbero essere coinvolte più che mai vista la loro esperienza sul campo, oltre che teorica.

Non abbiamo invece bisogno dei soliti manager strapagati per fare nulla, ma questo probabilmente Conte, che è persona seria, lo sa. Forse invece non ricorda bene che, specie quando si tratta di temi come quelli del Recovery, cioè salute, ambiente, istruzione, è impossibile che dalle decisioni sui fondi vengano estromesse le donne, che sono presenti in tutti gli ambiti di ricerca legati al Recovery fund.

Sarebbe, insomma, inaccettabile una squadra di soli manager uomini e una prevalenza di esperti maschili. Che sia cabina di regia, sì, e pure blindata. Ma dentro, per favore solo veri esperti. E vere esperte. Che, davvero, non mancano.

Sorgente: Fa bene Conte a blindare il Recovery Fund dall’assalto dei partiti! Altro che collegialità – Il Fatto Quotidiano

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