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Un possibile aggravarsi della pandemia potrebbe attenuare i contrasti o rafforzare l’ipotesi di un governo istituzionale. Di certo scarica l’arma in mano a chi minaccia il voto in caso di caduta del premier

Emanuele Lauria

Potremmo chiamarla l’incognita politica della variante inglese. Fai presto a dire: teniamo separati i tavoli del governo e della pandemia. Missione già difficile di suo, se poi aggiungi anche la minaccia, proveniente dal Regno Unito, di una recrudescenza del virus, le cose si fanno più complicate. Gli scenari di un Palazzo Chigi su cui aleggia lo spettro di una crisi possono cambiare d’improvviso. Ma in che modo?

Il nuovo allarme piomba su un presidente del Consiglio alle prese con la fase più calda della “verifica”: dopo una settimana di bombardamenti da parte dei renziani, e con gli alleati (soprattutto il Pd) a difenderlo in modo non esattamente strenuo, Conte ha deciso di convocare per oggi i principali azionisti della maggioranza per discutere con loro una sostanziale riscrittura del Recovery: cabina di regia e saldi di spesa. La sostanziale sfiducia di Italia Viva ha fatto ipotizzare una crisi, pilotata o meno, verso un rimpasto chirurgico, un profondo riassetto dell’esecutivo (Conte-ter) o un governo con un sostegno più ampio (e qui si fa il nome di Mario Draghi come guida).

 

 

Adesso, la necessità di affrontare un’emergenza più dura del previsto, e non “l’ultimo miglio” di cui parla spesso Luigi Di Maio, potrebbe addirittura giocare un ruolo favorevole a Conte. Che a marzo, nella prima fase dell’epidemia, ricavò consenso e popolarità dal clima di unità e responsabilità nel Paese, e di un generale serrate le file, che accompagnò il lockdown. Quella situazione potrebbe ripetersi ora, consigliando ai leader giallorossi di concentrarsi sull’obiettivo della salvaguardia della salute e della sicurezza nazionale per tralasciare i meno comprensibili cimenti di una crisi di governo.

Ma potrebbe subentrare un’altra esigenza. L’aggravarsi del quadro epidemiologico (ipotesi per fortuna non scontata, seppur temuta dall’esecutivo), in un momento in cui ampi settori della maggiorana (renziani ma anche Pd) segnalano un “appannamento” dell’azione di governo potrebbe anche spingere verso una soluzione drastica. Ovvero verso una formula di responsabilità nazionale, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, che sia alla base di un nuovo esecutivo rafforzato, per traghettare il Paese fuori dalla crisi economico-sociale più dura dal Dopoguerra in poi. E in questo caso non sarebbe da escludere anche un turn over a Palazzo Chigi, a favore di Draghi o di un’altra figura tecnica.

Una cosa è certa: una coda della pandemia più lunga e dolorosa del previsto condiziona ogni ragionamento sin qui condotto, seppur timidamente. Nelle stanze dei partiti, e del governo, si fa fatica ad esempio a immaginare, almeno in questo momento, la possibilità di celebrare regolarmente le amministrative a primavera. Immaginare una campagna elettorale in grandi città come Roma, Milano e Napoli a partire da marzo è esercizio arduo. A maggior ragione bisogna scartare, in questo momento, lo scenario costituito da elezioni politiche. Ecco perché, per tornare alla pre-crisi di governo, forse sbaglia chi utilizza le normali lenti costituzionali per indicare vie d’uscita all’impasse. Traduzione: la minaccia rivolta a Renzi dagli alleati (“dopo Conte c’è solo il voto”), con il virus che circola velocemente e gli ospedali pieni, è perlomeno incongrua. Altro fattore da considerare, in questo periodo straodinario nel quale ogni spinta politica va calibrata sulla pressione sanitaria, economica e sociale che potrebbe diventare dirompente con l’imminente stop al blocco dei licenziamenti e la scadenza degli ammortizzatori sociali.  La variante inglese è già dentro i nostri confini. Almeno nei Palazzi delle istituzioni e dei partiti.

Sorgente: Covid e governo Conte, l’impatto della ‘variante inglese’ sulla crisi – la Repubblica

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