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In sofferenza soprattutto i mezzi pubblici delle grandi città. Tra le cause gli ingressi nelle scuole non scaglionati a sufficienza

Alla fine pure Giuseppe Conte, nella cornice solenne di Montecitorio, ha dovuto ammettere che qualcosa è andata storta: “C’è un’oggettiva difficoltà ad assicurare il distanziamento sui mezzi di trasporto”. Anche sul suo smartphone, d’altronde, sono rimbalzate le immagini di bus e metropolitane pieni, con i passeggeri accalcati nelle ore di punta. Immagini che fanno a pugni con l’esigenza di frenare la curva dei contagi che ha cominciato a crescere esponenzialmente da fine settembre in poi, da quando cioè un esercito di otto milioni di studenti si è rimesso in movimento, accanto ai lavoratori già in attività dopo le ferie. Questa è la storia del pericoloso flop dei trasporti pubblici, che ha contribuito a provocare l’attuale stato di semi-lockdown e che ha generato uno scontro fra il governo e le autonomie locali. Ma cosa è successo esattamente?

I 180 milioni non spesi

È vero, come dice il premier, che il governo ha stanziato a fine agosto 300 milioni per potenziare i servizi di trasporto e che le Regioni, al momento, ne hanno spesi solo 120. Fondi che però sono stati materialmente ripartiti due mesi dopo, con un decreto attuativo firmato venerdì scorso. In ogni caso, in forza di impegni e anticipazioni, quei soldi sono stati impiegati per 4 mila nuove corse: impossibile acquistare bus nuovi in breve tempo, sono stati utilizzati 2 mila bus forniti da privati. Eppure ciò non è bastato a evitare l’emergenza. Perché il potenziamento è avvenuto principalmente su tratte extraurbane e nei piccoli centri, mentre non è servito ad alleggerire le corse nei capoluoghi, dove più forte è la domanda di mobilità.

La beffa dei bus turistici

Uno dei problemi emersi, sin da subito, è la difficoltà di impiegare i mezzi turistici assicurati dai privati per le corse ordinarie nei centri urbani: la loro conformazione impedisce accessi e uscite veloci dai bus. In realtà, è solo una parte della questione. Perché un altro affollamento – quello normativo – è stato d’intralcio: nessuno, a inizio settembre, nel mettere a disposizione i 300 milioni per i trasporti ha pensato di eliminare una disposizione precedente che vincolava l’utilizzo delle somme al fatto che le linee, prima del Covid, facessero registrare un grado di utilizzo superiore all’80 per cento della capienza. Un cavillo che, denunciano diversi governatori, ha limitato la possibilità di intervento.

Il nodo autonomia scolastica

Ma lo scoglio più alto si è rivelato lo scaglionamento degli orari di ingresso e di uscita dalle scuole. “Il vero problema è che le aziende di trasporto non sono mai riuscite neppure a conoscere la domanda di mobilità”, sintetizza Andrea Gibelli, presidente di Asstra, l’associazione che rappresenta il 95 per cento del Tpl urbano in Italia: “Ogni scuola, nel passaggio dall’orario provvisorio a quello definitivo, si è organizzata a modo proprio, con comunicazioni inesistenti o tardive a chi gestisce i collegamenti. L’autonomia scolastica è sacra – osserva Gibelli – ma in questo periodo di emergenza tutti stanno rinunciando a qualcosa. Forse chi sovraintende al mondo della scuola avrebbe potuto fare di più per assicurare un coordinamento”. Ma almeno sino a metà ottobre la ministra Lucia Azzolina non ha voluto prendere in considerazione indicazioni univoche, su tutto il territorio, sullo scaglionamento degli orari delle lezioni, proprio in nome dell’autonomia scolastica. E malgrado le sollecitazioni in senso contrario di altri esponenti di governo (come Francesco Boccia) e degli enti locali. Nel frattempo, però, gli assembramenti non sono finiti, sui mezzi e alle fermate. Anche perché i controlli sono pochi e non esiste il contingentamento degli ingressi. In alcune città come Roma e Milano per evitare la ressa alle banchine della metro è stato offerto ai passeggeri un servizio alternativo sui bus. Ma la gente ha continuato a preferire la metropolitana.

I ritardi

Un dato è evidente: questa affannosa corsa per garantire trasporti sicuri è partita in ritardo. E qui si torna ai 300 milioni spesi per meno della metà. E messi in circolo con una conferenza unificata solo il 31 agosto, cioé proprio a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico, dopo un’estate a discutere di plexiglas e banchi con le rotelle. Non si poteva fare prima? “Noi abbiamo presentato già a luglio un piano per garantire collegamenti sicuri”, sottolinea il presidente dell’Asstra Gibelli sollevando altri interrogativi. Con lo stesso provvedimento il governo ha alzato il limite di riempimento dei mezzi all’80 per cento della loro capienza. Tetto che con il passare delle settimane è finito sotto accusa perché ritenuto troppo elevato, sulla base anche delle immagini delle resse sui mezzi. Eppure, ha sottolineato la ministra dei Trasporti Paola De Micheli in commissione, il limite dell’80 per cento è appena superiore a quello (75 per cento) indicato dal comitato tecnico scientifico: anche con 5 passeggeri per metro quadro, adeguatamente protetti e per un periodo non troppo lungo, non c’è rischio di contagio. Seppur questo riempimento – ha precisato De Micheli – possa sembrare “non coerente con le misure di contenimento del virus”. Nel dubbio, il governo sta pensando di riabbassare la percentuale. L’ennesima prova di una scommessa fallita.

Sorgente: Ritardi, cavilli e milioni non spesi. Così i trasporti sono andati in tilt – la Repubblica

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