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«Il Covid in Italia dall'estate 2019», l'Istituto dei Tumori: gli anticorpi in oltre cento pazienti

Milano, l’analisi sui campioni di sangue raccolti in autunno: i medici avevano riscontrato polmoniti atipiche gravi. Le prove documentate in un articolo pubblicato su Tumori Journal

di Adriana Bazzi

Il virus Sars-Cov2 circolava in Italia fin dall’estate 2019. E ci sono le prove, documentate in un articolo, pubblicato su Tumori Journal, con prima firma quella di Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto Tumori di Milano.
C’era già qualche segnale che il virus fosse presente in Italia prima del febbraio scorso, quando è stato diagnosticato il primo caso autoctono, nel paziente 1 di Codogno. Nell’autunno precedente, i medici di medicina generale avevano già riscontrato polmoniti atipiche gravi, che si pensava dovute a virus influenzali. E anche a Wuhan, in Cina, da dove si ritiene sia partita la pandemia, uno studio dell’Università di Harvard aveva documentato un traffico anomalo di auto nei parcheggi degli ospedali nell’autunno 2019, a testimoniare un aumento di ricoveri fin da quella data. Così Apolone, con Ugo Pastorino e Gabriella Sozzi dell’Istituto, hanno avuto un’idea: sfruttare i dati dello studio Smile, che ha come obiettivo quello di offrire ai cittadini fumatori o ex fumatori, la possibilità di sottoporsi a una Tac e a un’analisi del sangue per monitorare il rischio di andare incontro a un tumore al polmone.

Gli anticorpi

Ecco i dati. Su 959 partecipanti allo studio, 111 presentavano, nel loro sangue, anticorpi anti-Sars-Cov2. E sei di questi avevano così tanti anticorpi che si sono rivelati capaci uccidere il virus vivo (in esperimenti di laboratorio).
Più precisamente: gli anticorpi anti Sars-Cov2 sono stati trovati nel sangue di persone (in genere maschi fra i 55 e i 65 anni) a partire dal settembre scorso. Il che vuol dire che sono venute a contatto con il virus almeno tre settimane prima, perché questo è il tempo necessario al sistema immunitario dell’organismo per sviluppare i famosi anticorpi.
Ma c’è di più. Il dato più intrigante è che il 50% delle persone, risultate positive, erano lombarde, ma l’altro 50% proveniva da tredici regioni diverse. Il che significa che già esisteva una libera circolazione del virus nel nostro Paese.
I polmoni, dunque, possono raccontare molto sulla storia della malattia. Non solo come protagonisti secondari, nel caso che abbiamo appena raccontato. Ma proprio come attori primari, perché sono l’organo bersaglio principale dell’infezione. E in questo caso ci illumina la storia delle autopsie (all’inizio dell’epidemia molto ostacolate), come leggiamo in una ricerca pubblicata su Lancet eBioMedicine da un gruppo di ricercatori italiani del King’s College di Londra e dell’Università di Trieste, guidato da Mauro Giacca.

L’analisi

«Abbiamo analizzato 41 polmoni di persone decedute per Covid — commenta Giacca — Una prima informazione riguarda la coagulazione, peraltro già nota. Il virus provoca, all’interno dei vasi polmonari (ma non solo, ndr) la formazione di coaguli di sangue che ostruiscono la circolazione sanguigna (ed è questo che giustificherebbe l’uso dell’eparina che, appunto, scioglie questi coaguli, ndr).
Ma è la seconda osservazione la più rilevante e inedita, che potrebbe portare a nuove terapie. «Il virus provoca una “fusione” delle cellule polmonari che, in termini tecnici, si chiamano “sincizi” — chiarisce Giacca — E questo potrebbe spiegare perché il virus fa così tanti danni, anche a lungo termine. Ma potrebbe anche fornire qualche suggerimento per lo studio di nuovi farmaci, capaci di inibire la formazione di questi sincizi». La ricerca è già all’opera.

 

Sorgente: corriere.it

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