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Il Telefono Azzurro che pur è un’istituzione nobile e serissima ha ricevuto proteste e critiche per quel suo #primaibambini. Uno scivolone narrativo che deve farci riflettere. L’unico modo per progredire nel gioco dello sviluppo sociale è l’inclusione

Il 20 novembre scorso, in occasione della trentunesima Giornata mondiale dedicata ai diritti dell’infanzia, Telefono Azzurro, l’associazione che dal 1987 ascolta e supporta bambini e adolescenti che vivono situazioni di abuso e disagio, ha lanciato una campagna di comunicazione che in breve si è trasformata in un vero e proprio epic fail.  L’opinione pubblica, i mass media e social media hanno reagito all’hashtag #primaibambini e alle scene nel filmato che mostrano, durante un incendio domestico, il salvataggio di un cagnolino a discapito di due bambini lasciati invece al loro triste destino, registrandole come un atto d’accusa contro quella parte di collettività che difende i diritti degli animali.

Il punto che mi è parso centrale in quasi tutti i commenti critici, è che lo scivolone narrativo di un’istituzione altrimenti seria che si è accreditata negli anni come faro di riferimento per i diritti dei minori molto spesso calpestati prima ancora che riconosciuti, sia del tutto naif. Che sia il classico scivolone sulla buccia di banana caduta dalla loro stessa mano.

In effetti è difficile pensare che a fronte di una campagna di comunicazione la cui dinamica è basata sul confronto, sulla dicotomia “questo contro quello” o “questo prima di quello”, non vi sia chi la pensa in maniera diametralmente opposta. E in questo caso, dico che certamente non occorre essere degli attivisti puri del diritto animale, per restarne feriti nella più intima sensibilità.

Tuttavia, al di là di tutte le intenzioni e le giustificazioni, che nel caso specifico non possono che essere aderenti alla realtà delle cose essendo la Onlus la realtà credibile che è, quel che mi preme di evidenziare, e voglio farlo con una forte dose di entusiasmo, è che possiamo accomiatarci con buona pace da questi ultimi anni introversi nei quali per assicurarsi attenzione e consenso si dovevano attestare supremazia e preminenza di qualcuno o qualcosa prima e a detrimento di tutti gli altri.

Non è piaciuto, dunque, in quanto non digeribile per l’evoluzione che la nostra coscienza collettiva ha avuto negli ultimi tempi, quel «prima i bambini» che è subito parso fare il paio con America first di non remota memoria, o con quei “prima gli italiani”, la France avant tout oppure «il Brasile prima di tutto». Dio prima di tutto”. Non tanto perché rappresentativi di un pensiero politico espresso da leader probabilmente distanti o su posizioni antitetiche rispetto alle proprie, quanto perché l’esperienza della pandemia ci ha dimostrato e ci dimostra ogni giorno, che l’unica chiave possibile per aprire i livelli successivi e progredire nel gioco dello sviluppo sociale, è l’inclusione.

È dunque chiaro anche da questo esempio, che il tempo in cui stiamo vivendo ci sta mettendo di fronte alla scelta, che è contemporaneamente un’enorme opportunità, di costruire rivoluzionari modelli sociali basati su questo nuovo paradigma culturale che tiene sempre a fuoco sia l’interesse del singolo sia quello dell’insieme. Non dovremo dunque più lasciarci guidare dalla concezione che per procedere in qualsiasi divenire, occorra dare precedenza a un comparto su un altro, a una categoria su un’altra, all’economia prima che alla salute, agli italiani prima che al resto del mondo, alla scuola prima che ai ristoranti, ai giovani prima che agli anziani o ai bambini prima che agli animali. Perché facciamo parte di un insieme interconnesso!

Dunque, il prossimo passo che vorrei veder accadere, e non solo in tutti coloro che hanno trovato ingiusto nella sostanza l’approccio con il quale lo spot di Telefono Azzurro ha tentato di illuminare un problema altresì reale, è di superare la fase dell’indignazione, dell’accusa e della lamentela, per intraprendere quella della proposizione di azioni risolutive che contribuiscano ad avviare il tempo della condivisione.

Da fare ce n’è molto, rimanendo nell’ambito dei diritti dei minori, per esempio, secondo l’ultimo rapporto «The Future We Want – Essere adolescenti ai tempi del Covid-19» voluto da Unicef per far sapere come l’emergenza sanitaria abbia cambiato la percezione che gli adolescenti italiani hanno del proprio benessere, i giovani chiedono il ritorno a una nuova normalità che tenga conto delle lezioni apprese in questi mesi e delle buone pratiche messe in atto, con un cambio di rotta che non può prescindere dall’ascolto della loro voce.

 

Sorgente: È finito il tempo degli slogan come «Prima gli italiani» o «America first» – Linkiesta.it

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