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La mafia ha sempre lucrato sulle disgrazie. Lo sta facendo anche adesso, in piena pandemia, con un’economia messa in ginocchio dal Covid. Le imprese hanno cominciato a boccheggiare e il crimine organizzato è già lì, pronto a pompare denaro sporco invadendo ogni spazio lasciato vuoto nell’economia legale. L’impresa di Stefano Maioli dal 1994 si occupa di risparmio energetico nell’edilizia e faceva i lavori più grossi tra Reggio, Parma e Modena. A marzo i clienti non riescono più a pagare, ma ci sono 15 dipendenti a cui erogare lo stipendio, i fornitori e le bollette da saldare. La banca prende tempo per erogare un prestito modesto e alla fine li chiede a uno strozzino legato al clan dei casalesi. Interessi al 250%. Una storia simile a quella di tanti imprenditori, ma solo alcuni hanno potuto denunciare. Dallo scorso marzo la Guardia di Finanza ha portato a termine sette operazioni che svelano interessi illeciti di personaggi vicini ai clan per accaparrarsi i fondi straordinari a sostegno delle imprese. Mentre un’inedita ricerca di Transcrime segnala elementi di preoccupante opacità nel fiume di transazioni e passaggi di proprietà che non si è arrestato neppure con il lockdown. «Se la diffusione della pandemia da un lato mette a dura prova la sopravvivenza sul mercato di molte imprese – argomenta il generale Alessandro Barbera, a capo dello Scico della Guardia di Finanza –, dall’altro rappresenta per le organizzazioni mafiose una grande occasione per investire i propri capitali illeciti, allo scopo di riciclarli nelle aziende in  difficoltà di liquidità».

Crescono usura, segnalazioni sospette, interdittive

Un recente report riservato del ministero dell’Interno rivela che nei primi sei mesi del 2020 tutti i reati contro il patrimonio sono calati, a eccezione dell’usura cresciuta rispetto allo stesso periodo del 2019 del 6,5%, passando da 92 a 98 casi. Analizzando i quattro mesi dello stop, da marzo a giugno, i dati della sola Guardia di Finanza registrano un analogo incremento: 89 denunciati nel 2020 contro i 62 dell’anno passato. E ancora: nei primi sei mesi del 2020 l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia ha ricevuto 52.558 segnalazioni per sospetto riciclaggio: una crescita del 4,7 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Un numero che va di pari passo con l’impennata di interdittive antimafia emesse dalle prefetture nei confronti di aziende controllate o condizionate dalle organizzazioni criminali. Nei primi nove mesi dell’anno il ministero dell’Interno ne registra 1.637, nello stesso periodo del 2019 erano state 1541, con un dato indicativo di come si muove la presenza criminale nel settore imprenditoriale: per la prima volta l’Emilia-Romagna (218 interdittive) scalza la Sicilia (178) e si piazza al terzo posto. In testa ci sono Campania e Calabria.
Le mani sui fondi per emergenza Covid

La relazione dell’Anac dello scorso luglio quantifica in 5,8 miliardi di euro i fondi impiegati per forniture, lavori e servizi legati al Covid. I lotti di gara già definiti con la procedura emergenziale sono 61.431. Di questi ne sono stati esaminati a campione 311, per un importo complessivo di circa 304 milioni. L’indagine ha evidenziato criticità o anomalie nei tempi e nella qualità della fornitura per 60 procedure. Nei prossimi mesi i fondi stanziati per far fronte all’emergenza aumenteranno ulteriormente. E poi arriveranno anche gli 80 miliardi a fondo perduto del Recovery Fund. Gli atti investigativi delle Fiamme Gialle mostrano la rapidità con cui si sono scatenati gli appetiti delle mafie: a Napoli alcuni appalti per la sanificazione dei locali erano finiti al clan scissionista della Vinella Grassi, 7 arresti lo scorso maggio. A Venezia e Torino sono stati sventati tentativi di corruzione: al centro degli interessi illeciti c’erano i lavori di pulizia e igienizzazione imposti dalla profilassi epidemica. A Milano lo scorso luglio sono finite in manette 8 persone, alcuni dei quali contigui al clan Greco di San Mauro Marchesato, in provincia di Crotone che, nell’ambito di una più vasta frode dell’Iva, avevano approfittato degli aiuti previsti dal decreto del 19 maggio 2020. Il 28 settembre sono stati invece sequestrati 87 mila euro concessi a fondo perduto a 4 società dell’hinterland milanese. Corruzioni e frodi sono poi al centro di inchieste ad Ancona, Palermo e Reggio Calabria.

In 5 mesi 43.688 imprese cambiano proprietà

Il secondo fronte dell’espansione criminale nell’economia legale riguarda il mondo delle imprese. La storia di Vincenzo (nome di fantasia) è emblematica: la sua ditta di prodotti chimici per l’edilizia, nel varesotto, era una realtà solida. A causa della crisi del settore ha perso il fido bancario, e si è quindi rivolto ad alcuni soggetti con molta disponibilità finanziaria. I nuovi soci lo hanno poi costretto a commettere illeciti amministrativi, stravolgere i conti, falsificare i bilanci. E quando ormai era con le spalle al muro, la Finanza sulla soglia e i creditori pronti a farlo fallire, ha dovuto vendere tutto ai nuovi soci. Dopo la denuncia ha scoperto che si trattava di affiliati alla Sacra Corona Unita. Il passaggio di proprietà è una fase delicata che può celare interessi criminosi, tanto più quando avviene in un periodo di forte crisi come quello attuale. Uno studio inedito di Transcrime-Università Cattolica di Milano, basato sul database Bureau Van Dijk, ha analizzato le cessioni di attività negli ultimi mesi. Le transazioni non sono aumentate rispetto all’anno passato, anzi c’è stata una flessione. Eppure è significativo che da aprile a settembre, a cavallo fra il lockdown e la fase due, ben 43.688 aziende abbiano cambiato titolare.

Nelle nuove compagini societarie compaiono soggetti provenienti da paesi in blacklist per antiriciclaggio in un numero 4,5 volte superiore alla media. Mentre è di oltre 10 volte superiore alla media italiana la presenza nelle nuove proprietà di trust, fiduciarie e fondazioni che non consentono di risalire a un individuo con titolarità effettiva.
«Le anomalie evidenziate rientrano tra i fattori di rischio di riciclaggio e infiltrazione criminale identificati dalle normative vigenti e confermati da studi empirici – spiega Ernesto Savona, direttore di Transcrime –. Le imprese con queste anomalie hanno una probabilità oltre dieci volte maggiore di essere coinvolte in reati o di essere colpite da sanzioni». Naturalmente non tutte le transazioni opache celano un interesse mafioso, ma sarà necessario approfondire se queste anomalie hanno una giustificazione di natura economica, finanziaria o personale.

Sorgente: Corriere della Sera

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