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Succede, nella relazione tra partiti ed elettori, quello che è successo tra governo e Parlamento: un travaso, un esproprio di funzioni

di Montesquieu

Faticosamente, arrancando, la diciottesima legislatura giunge alla metà del proprio percorso. Un risultato insperato, per un Parlamento impotente rispetto alla finalità fisiologica di ogni Parlamento, quella di dare vita a un governo, o a più governi; quindi di avere al proprio interno delle maggioranze, tenute insieme da un patto preelettorale, o da convergenze successive al voto. Questo succede in un sistema parlamentare: e il nostro è un modello di sistema parlamentare, con una peculiare figura di regia nel Capo dello Stato. Il popolo, gli elettori, esauriscono la propria funzione, fondamentale funzioni, nella scelta di deputati e senatori. Non hanno ruolo ulteriore nella formazione dei governi. L’incombenza di verificare se esistano le condizioni per dar vita ad un governo, passano al Capo dello Stato e poi alle Camere.

Ad oggi, queste Camere hanno dato vita a due governi, di uguale durata, entrambi senza il presupposto di una vera convergenza, pre o post elettorale: governi nati grazie alla decisione di minoranze, dichiaratamente incompatibili, di mettere reciprocamente a disposizione dei consoci di governo i propri voti al fine di raggiungere i rispettivi obiettivi. Due minoranze associate fanno una maggioranza numerica, non una maggioranza istituzionale, che richiede delle sintesi, non una somma. I contraenti del primo governo, Lega e Cinque Stelle, hanno ammesso l’anomalia; i loro successori simulano, almeno il Partito democratico, formalmente legato agli schemi delle democrazie, di essere una coalizione. Per chiarezza, nessuna parentela con il governo di contratto della Repubblica federale di Germania, frutto di minuziose trattative tra partiti tradizionali.

Per fugare qualche passata polemica, va precisato che non rientra nelle prerogative del Capo dello Stato quella di indagare le relazioni interne ad una maggioranza. In realtà, un obiettivo per tenere in piedi la legislatura, accanto a quello dei parlamentari di conservare l’incarico per la durata prevista, ha guidato anche le mosse dei partiti, tutti ma ognuno per sè: affidare a queste Camere il compito, divenuto via via più delicato, di eleggere il nuovo Capo dello Stato, all’inizio del 2022.

Messo alle spalle il referendum sul taglio delle Camere, ognuno riprende e dichiara i propri obiettivi costituzionali. Quello del Movimento Cinque Stelle non si scosta dal filone antiparlamentare intrapreso con tanto successo, al completamento del quale manca un solo tassello, il taglio delle indennità. Obiettivo per ora mai intrapreso, per l’impossibilità di applicarlo solo agli altri. Ma che, quando fosse raggiunto, costituirebbe il coronamento di una missione, l’irreversibile liquidazione di un Parlamento sovrano, in quanto rappresentante degli elettori, libero, autonomo, investito di funzioni fondamentali ed insostituibili. La fine di un sistema parlamentare. Il partito democratico, erede dei partiti e quindi dei valori costituzionali, espone a sua volta la bandiera dignitosa e un po’ fiacca dì qualche tradizionale aggiustamento costituzionale, in direzione del superamento del bicameralismo paritario e dell’istituto della sfiducia costruttiva, operante nel sistema germanico.

Proviamo ora ad immaginare il nuovo Parlamento, una volta raggiunti questi obiettivi: asciugato, sempre meno qualificato, con due Camere in qualche misura differenziate, e la sfiducia costruttiva. Un governo non cade per un voto di sfiducia, se questa non contiene l’indicazione di una nuova maggioranza. I regolamenti interni aggiustati. I parlamentari eletti dai cittadini. E le leggi? Il controllo sul Governo, l’indirizzo politico? Nulla di nuovo, non ci si lasci ingannare dal miraggio di qualche riforma, di qualche modifica regolamentari e procedurale, inutili se le leggi sono fatte altrove: inutili, tutte, ed ingannevoli se portate a termine prima del ripristino di un ruolo delle Camere e dei parlamentari nel procedimento legislativo, del controllo delle Camere sull’esecutivo, dell’indirizzo politico, che richiede dibattiti oramai scomparsi dal Parlamento. Delle funzioni, in sintesi, che la Costituzione affida al Parlamento. Oggi, quelle funzioni sono passate al Governo, come quella legislativa, o sono atrofizzate , le altre. Nessun partito ha programma e intenzione , dichiarati, di restituire le funzioni alla Camere. Nessuno. Non i partiti forti di radici costituzionali; non gli a altri, fortemente populisti e/o disinteressati alla materia. Così, il Parlamento, quello di oggi e quello di domani, continueranno ad essere popolati di controfigure, al servizio morale e materiale dei capi di partiti, che li nominano direttamente.

Succede, nella relazione tra partiti ed elettori, quello che è successo tra governo e Parlamento: un travaso, un esproprio di funzioni. Per privatissima utilità. A tutti interessa, nei rispettivi turni di governo, avere la guida di una funzione legislativa senza imprevisti e senza rischi, e parlamentari scelti e reclutati per essere docili ed obbedienti. Eppure, per rimettere le cose ciascuna al proprio posto, sarebbe sufficiente la volontà di farlo. Un clic: la decisione delle Camere di rimuovere dai propri archivi un cumulo di precedenti e prassi incompatibili con la lettera dell’articolo 72 della Costituzione, che disegna un iter legislativo interamente interno alle Camere, seppure con un ruolo fondamentale del governo. Un atto che inibisca l’ammissibilità dei maxiemendamenti, forma di legislazione devastante per qualità e comprensibilità, tra l’altro: ma soprattutto estromissione di Parlamento e parlamentari dal procedimento legislativo. Ci pensino, i presidenti delle Camere, i capi dei partiti, parlamentari nostalgici della propria originaria funzione costituzionale e della propria dignità. E molto più facile e utile che provare a fare delle riforme costituzionali. C’è ancora un anno di mandato dell’attuale Capo dello Stato: poi, tutto sarà più difficile.

 

Sorgente: Un Parlamento di controfigure, ostaggio dei partiti, per evitare il ritorno ad un sistema parlamentare – Il Sole 24 ORE

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