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Le fratture nel partito di Salvini e la linea cauta del premier

di STEFANO FOLLI

Un passo dopo l’altro, l’Italia si sta richiudendo: non proprio come in marzo, almeno non ancora, ma con la stessa angoscia circa il prossimo futuro. Come in primavera, peraltro, persiste la sensazione che pochi, tra chi governa ai vari livelli, al centro e nelle regioni, sappiano esattamente cosa fare e come farlo. Quando il consulente numero uno del ministero della Salute, Ricciardi, afferma che “siamo come nella Venezia del 1400, nonostante la tecnologia”, il suo messaggio non suona molto rassicurante.

In tutto questo il premier Conte, ormai è chiaro, ha scelto per sé una linea prudente e astuta. Anziché passare per l’uomo che mette sotto chiave tutto il Paese, come l’altra volta, lascia che siano le Regioni a sbrigarsela. Per quanto lo riguarda, tiene a dimostrare di non essere “impreparato” di fronte alla seconda ondata e snocciola dati e cifre al riguardo. Non è chiaro se questa linea potrà essere efficace a lungo andare, specie sul punto di fondo che sta a cuore al presidente del Consiglio: garantire la propria personale popolarità ed evitare che si verifichi il fenomeno opposto rispetto a marzo-aprile. Allora l’enormità della pandemia produsse un grande bisogno collettivo di protezione e questo si tradusse in una crescita straordinaria del gradimento di Conte. Adesso può accadere, e forse già succede, il contrario: l’opinione pubblica potrebbe non aver voglia di perdonare un secondo caos, nuovi allarmi, altra retorica volta a mascherare le carenze.

Di qui il profilo più cauto del premier. Il quale è pressato dal Pd, interprete di una linea più intransigente e votata alle chiusure: linea che il governo tuttavia non fa sua, fermandosi sul ciglio e lasciando le decisioni alle regioni o, dove è il caso, ai comuni. Accade così che capoluoghi governati dalla destra, e in particolare dalla Lega, devono assumersi loro l’onere di proclamare il cosiddetto “coprifuoco” e i confinamenti locali. A parte la Campania, regno di De Luca, seguita ieri sera dal Lazio di Zingaretti, le altre regioni dove è in corso l’operazione sono la Lombardia e il Piemonte. Non il Veneto, dove Zaia si mantiene fedele al No-Lockdown con il pensiero rivolto alle attività economiche e commerciali, vale a dire a quel mondo produttivo che ha già pagato un prezzo alto in primavera. Milano e Torino invece chiudono e qui si è creata una frattura nella Lega, il partito del Nord.

Salvini non ha potuto impedire gli atti amministrativi del presidente Fontana, è ovvio, ma le sue riserve sono ormai note a tutti. Del resto ieri Gian Marco Centinaio, uno dei dirigenti leghisti più vicini al leader, ha fatto sapere di non voler rispettare le restrizioni decise dal suo collega di partito, il presidente della Lombardia (“vediamo se mi arrestano”). Non è chiaro se Conte volesse ottenere proprio questo risultato, sta di fatto che la Lega esprime oggi due posizioni quasi opposte su come fronteggiare il Covid. E certo, aver spaccato il maggior partito d’opposizione su un tema così sensibile, va a tutto vantaggio di Palazzo Chigi. Magari sarà una vittoria di Pirro, perché il virus dilagante travolgerà le distinzioni e metterà in luce, in modo impietoso, le lacune dell’intera classe politica. Ma al momento il dato politico è che l’opposizione non ha una sola voce e la stessa Lega è profondamente divisa.

Sorgente: Sulle chiusure per Covid si spacca la Lega. E Conte incassa | Rep

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