0 6 minuti 3 anni

 

Sono ormai mesi che è in atto un attacco concentrico non tanto e non solo contro il Governo, ma soprattutto contro il concetto stesso di welfare. La campagna ad personam contro Tridico è solo l’ultimo degli episodi che vede coinvolti pezzi importanti dell’establishment politico-economico-mediatico italiano, impaurito dal rischio di perdere i propri privilegi ed il proprio potere. Nel mirino sono finti il Reddito di Cittadinanza, il blocco dei licenziamenti e più in generale qualsiasi forma di welfare, in particolare verso il mondo del Lavoro. Il problema, secondo costoro, sarebbe un paese pieno di pigri stesi sul divano con poca voglia di lavorare, dominato dall’assistenzialismo (per i lavoratori, si intende, non per le imprese che devono far ripartire l’economia), in cui il blocco dei licenziamenti impedisce le assunzioni e imbriglia la voglia di fare degli imprenditori e la distruzione creativa del capitalismo.

Altrove, in paesi non proprio socialisti, e su giornali non tacciabili di estremismo, provvedimenti simili vengono accolti con favore. Nel famoso capitalismo anglosassone, in USA e Canada, l’ondata del Covid-19 è stata affrontata con interventi pubblici di emergenza, con lo Stato impegnato a garantire 600$ a settimana ad ogni disoccupato – un sussidio (oddio…) che è spesso più alto del salario perso. Il successo è stato clamoroso – in USA si è addirittura ridotta la povertà in tempo di crisi economica; la maggior parte degli economisti sono concordi nel sostenere che, in tempi di crisi, la disoccupazione non è causata dall’offerta di lavoro (i vitelloni sul divano che si godono il RdC) ma da mancanza di domanda (cioè, le imprese che non assumono in recessione), e che dunque i sussidi non sono solo “eticamente” giusti, ma fungono da stimolo economico – la famosa politica anti-ciclica – per non peggiorare la situazione con un ulteriore calo dei consumi.

Un economista non proprio di simpatie marxiste come Brad Delong si spinge a suggerire che lo Stato diventi “employer of last resort”, continuando dunque a pagare chi non ha lavoro, giacché le imprese private non sono in grado, da sole, di ripristinare i livelli di produzione e crescita precedenti la crisi e la politica monetaria, con tassi già vicini allo zero se non negativi, non può avere grande efficacia. Da noi, invece, l’ex-presidente dell’INPS parla di cassa-integrazione per i dipendenti pubblici.

Un altro economista come Noah Smith, commentatore su Bloomberg, il sito di informazione economico-finanziaria più importante del mondo, si è spinto a sostenere che il successo dei sussidi di disoccupazione dovrebbe portarci all’adozione di un Universal Basic Income, qualcosa di simile al concetto di Reddito di Cittadinanza. In Italia, invece, abbiamo un Presidente di regione, sedicente progressista, che si rifà alla più gretta retorica reazionaria, quella del “divano” che richiama da vicino quella delle “welfare queen” di reaganiana memoria, in cui si addita il disoccupato come scroccone che vive a carico dello Stato (anzi, dei “tartassati di tasse”).

Nel frattempo un ex-sindacalista favorevole ai licenziamenti facili ed il presidente di Confindustria che chiede a piè sospinto aiuti di Stato, si scagliano contro un fantomatico “sussidistan”. Non li sfiora nemmeno che su Economist e Financial Times si discuta di un nuovo ruolo dello Stato, di fallimento del liberismo, della necessità di ridefinire un patto sociale ormai sgretolato dalle continue crisi e dall’aumento delle diseguaglianze.

Da questa retorica mercatista traspare in realtà un darwinismo sociale inquietante, un odio per i poveri che in fondo meritano di esserlo perché lavativi; per i disoccupati che si devono arrangiare; per gli statali sono dei privilegiati. Non va dimenticato che allorquando si parlava di Jobs Act, ci si riferiva inizialmente alla flex-security del modello danese, salvo poi dimenticarsi la parte di security e di welfare. Si parla di dignità del lavoro, ma come dicono Barca e Morniroli, non è contemplata la dignità del lavoratore, sempre più spesso sottoposto a condizioni capestro e di aperto sfruttamento – in fondo, i nostri liberali sono gli stessi che esultano per contratti farlocchi per i lavoratori nella gig economy che i tribunali di USA, Canada, Francia, UK riconoscono come lavoratori dipendenti e che invece, in nome del “libero mercato” e del “welfare del consumatore” si vuole provare a far passare come liberi professionisti. Anzi, non importa neppure delle condizioni di salute dei lavoratori in presenza della pandemia, pensando magari di mercificare la salute attraverso “diritti ad infettare” con cui il padronato potrebbe giocarsi la vita dei dipendenti.

Proudhon, sbagliando, definì il socialismo di stampo marxista filosofia della miseria; i liberali di noialtri, invece, sembrano a loro agio nel proporre una economia della miseria, in cui crisi economica, pandemia e profitti privati – magari a spese del contribuente – siano scaricati tutti sulla miseria del lavoro e dei cittadini. Forse per questo, a dispetto dei media che controllano, rimangono, fortunatamente, elettoralmente marginali.

Nicola Melloni

 

Sorgente: NICOLA MELLONI – Economia della miseria » LA PAGINA DEI BLOG – MicroMega

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20