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Dal premier Conte agli esperti del governo in tanti assicuravano che non avrebbe avuto lo stesso impatto della prima

E’ il 31 maggio quando Michele Bocci intervista per Repubblica Silvio Brusaferro, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, un professore che abbiamo imparato a stimare per il suo equilibrio.

Lei teme una seconda ondata?, gli chiede Bocci. “No, una seconda ondata non è scontata e non si può escludere, ma non si possono fare paragoni con quanto abbiamo vissuto. Comunque non avrà lo stesso impatto della prima”.

Lo stesso giorno il Corriere della Sera interpella un altro scienziato consultato spesso in questi mesi: Francesco Le Foche, responsabile del Day Hospital di Immunoinfettivologia del Policlinico Umberto I di Roma.

Professore, è possibile una seconda ondata in autunno?
“La sposterei più in là, a dicembre, col freddo. Il virus deve avere il tempo di rialzare la testa dopo essere stato fermato dal lockdown. Non credo che a settembre-ottobre l’epidemia sarebbe già in grado di riprendersi proprio per il limitato spazio temporale”.

Il ritorno sarebbe feroce come la prima fase?
“Non credo che torneremo a vivere un’esperienza tanto tragica. Penso più a un’ondata paragonabile a quella prodotta da una forte influenza”.

L’ultimo bollettino di ieri del Ministero della Salute registra 21.994 nuovi contagi da Covid19. Negli ospedali i malati ricoverati sono ormai 13.955, quelli in terapia intensiva 1411. I 221 morti sembrano prefigurare il peggio. Cinque mesi dopo le previsioni dei due professori la “seconda ondata” è arrivata davvero, come  una valanga. Ci facciamo tutti tante domande. Si poteva evitare? Cosa sta succedendo? Perché sta succedendo? Non ci avevano ripetuto per mesi che saremmo arrivati preparati alla fase 2?

A fine maggio il peggio sembra passato. Il Paese sta per uscire da un durissimo lockdown, tre giorni dopo apriranno le frontiere. “Venite in Italia”, è l’invito del governo ai turisti. Il 31 maggio si registrano 416 nuovi positivi, di cui la metà in Lombardia. Nel Lazio i casi sono appena sei. Ci sono 450 persone nelle terapie intensive, erano dieci volte tanto ai primi di aprile. L’estate è alle porte, la gente ha voglia di mare, prevale un’euforia liberatoria.

L’11 giugno Franco Locatelli, il presidente del Consiglio superiore di Sanità, membro del Comitato tecnico scientifico che da febbraio collabora stabilmente col governo, è ospite di Agorà. Dice: “Dobbiamo farci trovare preparati a gestire una seconda ondata di contagi che comunque, se dovesse mai esserci, non ritengo avrà le dimensioni e la portata della prima”.

Locatelli, un medico dai toni prudenti, il 20 agosto, al Meeting di Rimini ribadirà questa sua convinzione: “Non sappiamo se ci sarà una seconda ondata Covid, né di che portata sarà, ma non sarà della stessa portata che abbiamo dovuto affrontare a fine febbraio, marzo, aprile perché il Paese è decisamente in grado di individuare e circoscrivere i focolai epidemici e produrre dispositivi individuali per prevenire la diffusione del contagio”.

Il 10 luglio, anche Agostino Miozzo, il direttore generale della Protezione civile, sentito dal Corriere della Sera, aveva confermato questa impressione: “Un secondo ondata non possiamo escluderla, ma adesso siamo più preparati. Il sistema di tracciamento è attivo in tutta Italia”.

“Siamo più preparati”.

“Siamo pronti”.

“Non sarà come a marzo”.

Sono concetti che il premier Giuseppe Conte ripeterà in molteplici occasioni pubbliche a proposito della “seconda ondata”.

“Siamo tutti impegnati a prevenire una seconda ondata” (Conte al Senato, 17 giugno).

“Con il piano di controllo territorialmente articolato siamo in condizione di affrontare con relativa tranquillità anche i prossimi mesi” (Conte a un passante incontrato nel centro di Roma, 2 luglio).

“Se ci dovesse essere una nuova ondata l’Italia è attrezzata per mantenerla sotto controllo”.
(Conte al canale spagnolo Nius, 9 luglio).

“L’importante è essere preparati e noi lo siamo. Siamo certi di sapere come limitare un nuovo contagio” (Conte al canale spagnolo Sexta, 9 luglio)

La “seconda ondata”, insomma, non ci fa così paura.

In quelle settimane emerge una nuova corrente di scienziato, quello che dà il virus addirittura per “clinicamente morto”. Il suo esponente più noto è il medico di Silvio Berlusconi, Alberto Zangrillo, primario dell’Unità operativa di anestesia e rianimazione e terapia intensiva del San Raffaele. Dice: “Tutti dicono che siamo alla fine della prima ondata e attendono l’arrivo della seconda ondata, io credo invece che il virus si possa fermare qua, e da inguaribile ottimista penso che abbiamo un 50 per cento di possibilità che il coronavirus se ne vada”. E’ il 4 luglio.

Quanti italiani partono, forti di un simile viatico, per le vacanze?

Eppure altri avvertono in quelle stesse ore dei rischi che tutta l’Europa può ancora correre in autunno se non si attrezza. Una seconda ondata di contagi in Europa, non è questione di se, ma di quando, spiega a fine maggio la dottoressa tedesca Andrea Ammon, consulente scientifico dell’Unione europea. Dice al Guardian: “La questione del secondo picco è quando e quanto grande sarà. Guardando alle caratteristiche del virus, e ai dati sull’immunità nella popolazione dei diversi Paesi, tutt’altro che esaltante fra il 2 e il 14 per cento e quindi con un 85 -90 per cento di persone esposte, la conclusione è che il virus è ancora tra noi e circola molto più che a gennaio e febbraio. Non voglio dare un quadro apocalittico, ma dobbiamo essere realisti”.

Anche Anthony Fauci, il direttore del National Institute of allergy and infectious diseases, ha ripetutamente messo in guardia dai pericoli di una seconda ondata e in un’intervista alla Stampa preannuncia: “Non torneremo alla normalità prima di un anno”.

E in Italia? I governatori litigano con il governo, e tra loro. Vincenzo De Luca si fa beffa dei lombardi e giura che giammai la sua Campania farà quella fine: “Non succederà mai quello che è successo in Lombardia e in altre parti del Nord dove gli anziani, i malati di Covid, erano per terra perché non c’era un buco dove ricoverarli. Noi ovviamente guardiamo con fiducia alla ripresa. Non è inevitabile ci sia un ritorno dell’epidemia. Poi c’è qualcuno che lavora per portare seccia (jella in napoletano, ndr), tipo quell’esponente politico che conoscete e che lavora perché ci sia una epidemia, ma noi contiamo di scansarla con comportamenti responsabili e una programmazione calibrata sulle ipotesi più pessimistiche”.

Oggi la Campania, con 7,3 posti letto in terapia intensiva per 100 mila abitanti, ha il dato più basso di tutte.

E nel governo? Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, un medico eletto senatore nei Cinquestelle, è tra quelli che non ha mai creduto alla forza della seconda ondata: “E’ possibile che il virus rialzi la testa, ma la vedo molto difficile che ci possa essere una seconda ondata come a febbraio e a marzo Se le cose dovessero andare così dovrebbe andare tutto bene” assicura  il 27 luglio.

“Dobbiamo tenere alta la guardia, ma pensare a una seconda ondata è difficile”, ripete il 1° agosto, quando gli italiani si contagiano nelle discoteche.

E il 5 settembre, le avvisaglie di una ripresa potente del virus sono ormai sotto gli occhi di tutti, dopo l’estate dei bagordi, definisce “la situazione non critica”, perché “il sistema sanitario è in grado di fare fronte alle crescita dei casi”.

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha sempre mantenuto una posizione prudente e responsabile. Il 27 maggio annuncia 300 posti in terapia intensiva mobili e oltre 4000 in terapia sub intensiva, “perché – preciserà il 2 luglio in Parlamento – non è esclusa una seconda ondata e dobbiamo rafforzare il sistema sanitario”. In un’intervista al Messaggero dice: “Abbiamo stanziato 3,25 miliardi di euro per non contenere una seconda ondata, si sono potenziate la sanità di territorio, la prevenzione, ci sono molti più posti in terapia intensiva e in tre mesi abbiamo assunto 28.182 tra medici e e infermieri”.

Prima dello scoppio del Covid c’erano in Italia 5179 posti in terapia intensiva. Il decreto Rilancio, a fine maggio, ne ha previsti altri 3553, per un totale di 8732 posti.

Oggi sono 6628, il 19 per cento dei quali è occupato da pazienti Covid.

Ai primi di settembre la situazione nei paesi a noi vicini, specie in Francia e Spagna, è così drammatica che il virologo Lorenzo Pregliasco comincia a temere pubblicamente un autunno caldo. Tuttavia in un’intervista, rilasciata l’11 settembre ad Annalisa Cuzzocrea di Repubblica, il ministro Speranza professa ottimismo: “Io vedo la luce in fondo al tunnel, penso che da qui a un po’ di mesi avremo notizie incoraggianti dal mondo scientifico”.

Il 17 settembre Hans Kluge, il capo responsabile dell’Oms, giudica Francia e Spagna “fuori controllo”. Dipinge un quadro allarmante in Europa. In Gran Bretagna ci sono due milioni di cittadini in lockdown. Uno studio americano, pubblicato da Repubblica il 30 settembre, pronostica ventimila contagi in Italia a Natale. Il tir ci sta arrivando addosso, ma Giuseppe Conte continua a fare raffronti con il recente passato, invece che rafforzare gli argini: “Siamo in una situazione diversa da marzo. Allora non avevamo strumenti diagnostici, oggi siamo più pronti grazie al sacrificio di tutti”. Il 6 ottobre Speranza parla alla Camera e dice: “L’Italia sta reagendo meglio in questa seconda ondata, ma non dobbiamo farci illusioni e sarebbe sbagliato pensare di esserne fuori sulla base dei numeri”.

Il commissario straordinario Domenico Arcuri, l’uomo delle mascherine, ritiene che “siamo attrezzati a contenere la forza di una seconda ondata”. E’ il 7 ottobre, e lo dice al convegno della Federazione dei medici di famiglia a Villasimius. Quel giorno i contagi toccano quota 3678, e le persone in terapia intensiva sono già 337. Due giorni, il 9 ottobre, il presidente degli anestesisti italiani, Alessandro Vergallo, suona la sveglia: “Quella che stiamo vivendo in questi giorni potrebbe essere l’inizio della seconda ondata della pandemia: siamo nella fase iniziale di un aumento esponenziale”. I contagi sono schizzati a 5372 casi.

Dirà Walter Ricciardi, il consulente di Speranza: “E’ stato sottovalutato il fatto storico che tutte le pandemie hanno una seconda ondata più pericolosa della prima. Bisognava rafforzare il sistema di testing allargandolo a tutte le strutture sia pubbliche private che sono in grado di farlo”. O forse bastava leggere il libro della giornalista scientifica Laura Spinney, che in 1918. L’influenza spagnola racconta come “la seconda ondata” si propagò molto più violenta della prima.

Per migliaia e migliaia di italiani “la seconda ondata” è anche la fila ai drive in. Ogni mattina, davanti a quelli del Lazio, dove da ieri bisogna prenotarsi, si formano code chilometriche di automobilisti in attesa di fare i tamponi. Famiglie intere che si svegliano nel cuore della notte per poi incolonnarsi alle cinque del mattino al Labaro o a Santa Maria della Pietà, e una volta qui si armano di pazienza mentre fuori albeggia: il loro turno arriverà dalle sei alle otto ore dopo. L’attesa per la risposta al test può durare anche cinque giorni.

Sorgente: Covid, scienziati e politici ecco chi ha chiuso gli occhi sulla seconda ondata – la Repubblica

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