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Il Paese andino è andato alle urne con l’ex leader in esilio in Argentina: la battaglia è tra il suo ex ministro delle Finanze, Luis Arce, e un ex capo dello Stato, Carlos Mesa, che promette la pacificazione nazionale

di DANIELE MASTROGIACOMO

Ricchi contro poveri, indigeni aymara contro bianchi delle regioni orientali. In un clima teso e polarizzato tra una sinistra contadina e una destra decisa a riprendersi il potere ininterrotto di Evo Morales, la Bolivia affronta in queste ore la sua battaglia più difficile. Si vota per eleggere un nuovo presidente dopo l’annullamento delle consultazioni di un anno fa, vinte per un pugno di voti dall’ex dirigente dei cocaleros ma poi annullate per frode.

In dodici mesi sono accadute tante cose. Il piccolo Paese andino incuneato tra Argentina, Cile, Perú e Paraguay ha visto la fuga del leader socialista che era riuscito a sostenere una crescita economica sorprendente in un continente travolto dalla crisi, il suo rifugio prima in Messico e poi in Argentina, dove tuttora si trova, la rivolta di una classe media e alta esclusa per 14 anni dal governo, l’intervento dell’esercito con un golpe strisciante, la presidenza transitoria di un blocco reazionario animato da un desiderio di rivalsa e di vendetta, il ciclone della pandemia che ha colpito 139 mila persone e provocato più di 8 mila vittime.

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I sondaggi attribuiscono almeno 10 punti di vantaggi al candidato del Mas, il Movimiento al Socialismo, Luis Arce, già ministro delle Finanze per 11 dei quasi 14 anni del governo Morales. Se otterrà il 40 per cento dei voti, prevede la Costituzione, non sarà necessario andare al ballottaggio fissato comunque il 29 novembre. Se invece la destra, divisa tra Fernando Camacho, esponente politico di Santa Cruz, protagonista con i suoi “comitati civici” della sommossa popolare dell’ottobre del 2019 e altri due candidati, riuscirà a convogliare i voti su un solo uomo e a erodere i voti del fronte opposto, si aprirà una partita che vedrà decisiva la partecipazione del centrista Carlos Mesa, ex presidente dal 2003 e il 2005, il solo in grado di ricucire la profonda spaccatura che si è creata in Bolivia.

Ma al di là dei risultati, sono le pesanti dichiarazioni e le chiare minacce lanciate sia dal Mas sia dalla destra a incendiare il clima della vigilia già teso e confuso. A far da detonatore girano sul web le solite bufale e vere fake news che ormai accompagnano in tutto il mondo ogni elezione. Il Mas invita alla mobilitazione contro “la destra golpista”; la destra grida al complotto e prevede che, dopo aver giurato, Arce passerà lo scettro del comando direttamente a Morales.

Messaggi falsi. Benzina da gettare sul fuoco. Solo la settimana scorsa il ministro della Difesa del governo transitorio aveva sostenuto che “l’Esercito era pronto a intervenire in caso di frodi”. Venerdì e ancora sabato scorsi, diversi leader locali delle regioni a maggioranza bianche e della borghesia avevano dipinto a tinte fosche la prospettiva di un nuovo governo del Mas e lo stesso Machado era tornato ad evocare lo spettro di una guerra civile, attribuendo alla sua rivolta valori mistici e religiosi. “Abbiamo cacciato Satana e lo rifaremo”, aveva detto rispolverando le parole d’ordine che aveva lanciato durante la sua crociata contro Evo Morales.

Tra molti boliviani si temono le vendette e le ritorsioni dei militanti del Mas costretti a trincerarsi nei feudi delle regioni centrali e occidentali dove per mesi avevano allestito blocchi che impedivano il trasporto delle merci assediando quasi per fame le regioni degli avversari. I discorsi altrettanto infuocati della presidente transitoria Janine Añez non erano stati di aiuto. Dopo la fuga rocambolesca di Morales, inseguito dai militari, costretto a imbarcarsi su un aereo offerto dal Messico ma che nessuno degli Stati confinanti era disposto a far volare sui propri cieli, si era presentata circondata dai futuri ministri con la Bibbia in mano e affacciandosi dal balcone del palazzo presidenziale aveva tuonato contro il dominio del vecchio indio in fuga.

La frattura non si è più ricomposta. Lontano dalla patria ma ospite nella vicina Argentina, Morales ha pianto e protestato. Ha giurato di non aver commesso alcuna frode. Ha avuto il sostegno di alcuni centri di analisi indipendenti che mettevano in dubbio l’annullamento convalidato invece dall’Osa, l’Organizzazione degli Stati americani, che chiuse il contrasto imponendo nuove elezioni. La presidente si era candidata ma alla fine, davanti alle reazioni tiepide della sua stessa destra e il rischio di disperdere i voti, ha deciso di tirarsi fuori.

I risultati si sapranno solo a conteggio avvenuto. Per evitare le proiezioni e gli exit poll della volta scorsa e il successivo, misterioso blocco della macchina elettorale, quello su cui si sono appuntate tutte le critiche e i dubbi e che hanno fatto poi parlare di frodi, si è deciso di non diffondere alcun dato. Il rischio arriva dal web. Qualcuno potrebbe rompere il silenzio, incendiare le piazze con falsi risultati, far intervenire l’esercito, rinviare lo scrutinio all’infinito. La prospettiva peggiore che nessun boliviano vuole.

Sorgente: Bolivia, l’ombra di Evo Morales sulla scelta del nuovo presidente – la Repubblica

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