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Il punto con Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi»

di Laura Cuppini

Due-tre milioni di dosi entro fine anno, precedenza a medici e anziani con patologie, in particolare nelle Rsa. Le previsioni del ministro della Salute Roberto Speranza riguardano il vaccino sviluppato dall’Università di Oxford e prodotto da AstraZeneca.

Oltre a quello inglese, ci sono altri studi avanzati?
«Sono 8 (su 176 in tutto il mondo) i candidati vaccini che hanno raggiunto la fase 3 e quindi potrebbero essere disponibili nei prossimi mesi: tre basati su vettori virali (AstraZeneca, CanSino e Gamaleya), tre su virus inattivati (tutti cinesi) e due su Rna (Moderna e BioNTech/Pfizer). La fase 3 può durare da 6 mesi a diversi anni e consiste nel somministrare il vaccino a 30-40mila persone, che vengono poi confrontate con un gruppo di controllo non vaccinato. Il numero di infezioni con malattia nel gruppo vaccinato deve essere notevolmente minore rispetto a quello registrato tra i altri volontari non immunizzati».

 

Alcuni dei «finalisti» potrebbero completare la fase 3 entro il 2020?
«Tutti lo speriamo ma è difficile che accada, visto il numero relativamente basso di infezioni, anche in Paesi come Brasile e Usa. Probabilmente ci saranno dati preliminari di efficacia e sicurezza, che mostrano la prevenzione della malattia in giovani e adulti sani. Informazioni che serviranno a valutare il rapporto fra il rischio di infezioni gravi e il beneficio di un vaccino ancora non definitivamente promosso. Ragionamenti che porteranno le autorità sanitarie a decidere se somministrare le prime dosi a particolari gruppi, come gli operatori sanitari, con un procedimento non standard».

Un vaccino non ancora registrato (e quindi fuori commercio) può essere offerto alla popolazione?
«Di fronte alla pandemia di Sars-CoV-2 si è deciso di percorrere una strada emergenziale: le aziende farmaceutiche hanno cominciato, con fondi di tutti i Governi, a produrre i vaccini già durante gli studi clinici, per essere pronti appena dopo l’ottenimento dei primi risultati. Nell’iter normale la produzione inizia solo dopo una prova definitiva di sicurezza ed efficacia. Probabilmente la vaccinazione universale della popolazione sarà avviata solo dopo dati solidi su gruppi molto più numerosi ed eterogenei».

È necessario accelerare così tanto i tempi?
«In un contesto di emergenza, quale la pandemia di Sars-CoV-2, è auspicabile tentare di percorrere qualunque strada. Attualmente in Italia siamo però in una fase molto meno drammatica rispetto a quanto accadeva nei mesi di marzo e aprile. Per questo i primi vaccini disponibili saranno proposti, in via eccezionale, solo alle categorie più esposte o a rischio di morte».

Sorgente: Vaccino coronavirus, chi potrà averlo in Italia e quando?

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